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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica

Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

NUMERO 12 anno 4° - 1 anno 5° - Dicembre 2006- Gennaio 2007

PAGINA 6

   "Quando i vizi ci abbandonano, ci illudiamo di averli abbandonati noi"   
François de La Rochefoucauld

 

Presente

Passato e ripassato, il presente si ripresenta con sfumature diverse con ciò che è già vissuto ma che rivivo con una maturazione diversa, non sono cambiati i canoni, sono cambiata io.
La non accettazione di certi comportamenti altrui fanno che io non sia più tanto comprensibile, vorrei più libertà nelle mie azioni, ma come al solito mi viene ammortizzata dai condizionamenti di cui ancora non riesco a liberarmi. 
Sono passata e ripassata da eventi dolorosi, passata e ripassata dal subire ingiustizie altrui, non apprezzata, presa in giro durante la mia crescita…. ma cosa crede la gente? 
Che crescere voglia dire sottomettersi o santificarsi al sacrificio?

G. C.

 

 

Pesi che schiacciano

È qualche giorno che non scrivo e mi sento giù. 
Lo scrivere mi alleggerisce del malloppo ingurgitato, più o meno coscientemente, durante la giornata tramite i mie radar: occhi, orecchie, che sono quelli che funzionano di più. 
Ma anche il tatto, perché quando sono depressa, mi sembra che una carezza, un abbraccio, anche senza dire nulla, è miele per il cuore. 
Solo che sono abituata ad aspettarmelo dagli altri, e gli altri non sanno che io ho questo bisogno.
Allora io che voglio ciò che altri non vogliono, sto male, non mi amo più e incomincio a guardare fuori.
Inizia una catena senza fine di invidie, gelosie, pettegolezzi, per schiacciare, annullare gli altri e soprattutto per non guardarmi, e sono buone tutte le scuse per piangermi addosso. 
La violenza che io percepisco, ascolto è molto forte e mi riprometto sempre, quando ritorno in me, di fare più attenzione, di essere più presente, di non ingoiare tutto ciò che le miserie umane eruttano come lava da un vulcano profondo.
Ecco: io mi sento a volte come quel vulcano e butto fuori il peggio di me.
Ma mi dico anche che quella profondità dei miei limiti a forza di eruttare avrà anche la sua fine: quando non so ma questo pensiero mi rende più un guerriero a tutela di me stessa.

Ede

 

 

Il potere

Potere, desiderio di potere, sete di potere, ti senti una sete che non si spegne. 
Così è un desiderio infame innaturale, inconscio non te ne accorgi, ma c'è da sempre. 
È lì da sempre, non lo sapevi ma è così, ed ora non so bene da che parte incominciare a smontare questo schifo, questa inutile schifezza.
Inutile è il desiderio, il potere non lo desideri ma lo vuoi veramente.
È come sentire che qualcosa o qualcuno è dipeso da te, così ti puoi sentire importante, ma non è altro che una esaltata frustrazione del mio “io”.
Profondamente frustrato che ha bisogno di potere per sentire quanto sei importante, quanto vali, e quanto un'altro mare di cavolate.
Quanto sei cosa? 
Incapace di amarti hai bisogno di "possedere" qualcuno o qualcosa per sentirti importante.
Che bassezza che miseria, che pochezza di spirito, è una cosa umiliante. 
Eppure affascina! 
È incredibile come le cose più dannose siano quelle più attraenti, più ammalianti come se il male si mettesse un bel vestito, per farsi guardare per attirarti.
Come sono attraenti il potere, il giudizio, l'invidia e quanto vuoto nascondono?
Mi vengono in mente quelle belle scatole decorate con dentro niente! 
Nulla solo fregature.

G. P.

 

 

Parole

Parole, parole, parole poco rispettose, poco attente all’altro che ti sta davanti, poco delicate, parole che feriscono e le dici senza pensare e sei convinta di avere ragione, di aver detto il giusto, il logico e che il discorso non faccia una grinza.
Già, ma perché non ti chiedi perché l’altro reagisca così e si ribelli con una forza inaspettata? 
Perché non ti metti in discussione e non vai fino in fondo e tieni la tua porta chiusa a chiave?
L’altro prova a dire la sua ragione, la sua sofferenza, ma il tuo cuore indurito dalla presunzione e dalla rivalsa non ne vuole sapere. 
Eppure qualche cosa muta dentro, stai male, ti arriva il dubbio, non sei più così sicura del tuo agire.
E se glielo avessi detto nel modo sbagliato? 
Perché tutta questa incomprensione tra di noi, perché questo muro invisibile ma tremendo che c’è fra noi due?
Perché? 
In fondo so di aver fatto male, anche se non ce l’ho chiaro. 
Si parla ferendo gli altri e non si parla per comprendersi.
È più facile ferire che mettersi in discussione, ammettere i propri torti e chiedere scusa o perdono.
Eppure quale liberazione è mai comprendere l’errore e chiedere perdono!
Ci si sente leggeri, aperti alla vita anche se resta l’amarezza del danno fatto prima.
È un ritornare fanciulli, un abbraccio, un dono, uno slancio, un vedersi per quello che siamo, un vedere il proprio limite, il proprio bisogno, la propria rabbia che sia, un voler conoscersi.
Quanto tempo perduto nello stallo dell’io che vuole aver ragione e non transige, quell’io che è stupido ed ignorante e presuntuoso e deve farti star male tanto per farti cedere alla comprensione, all’umiltà, a dire: è vero, è così, perdonami, ho sbagliato.
E ci voleva un attimo e ci hai messo degli anni!
Un vero peccato.

L. P.

 

Non vivo coi piedi per terra

Non vivo coi piedi per terra
Il mio rifiuto della realtà mi sta condizionando fortemente il rapporto con Ivana. 
Rifiuto di fare le cose più banali perché le giudico inutili e sbaglio perché invece sono le più semplici e le più belle.
Rifiuto degli schemi della società al punto da stare male se mi vengono imposti. 
Rifiuto di ascoltare i discorsi più semplici perché la mente vaga alla ricerca di non so cosa. 
Sono in crisi con me stesso più che con lei o con gli altri.
E tutto perché qualche mia aspettativa con lei è andata delusa?
Tutta questa sofferenza inutile solo perché invece di gioire di essere finalmente riuscito a creare qualcosa con una ragazza semplice e buona d’animo, mi perdo dentro vortici di pensiero da cui non riesco più ad uscire. 
Sono scoraggiato, non lo nego, faccio fatica a tirarmi su e fuori da questo meccanismo mentale.
Invece di stare con me stesso, ho il pensiero sempre proiettato fuori, invaso da pesi della memoria, da insicurezze continue, da pensieri stupidi e cretini.
Vengo al lavoro e vengo assalito dalla frenesia di tornare subito a casa, a non perdere il contatto con la mia nuova realtà, perché proprio questo mi sta succedendo, sto perdendo il contatto con la mia nuova realtà.
Insomma per farla breve, io voglio che la mia vita si svolga semplicemente, la mia compagna, i miei amici, i miei cari, ogni tanto sento molto il desiderio di fare qualcosa per qualcuno che ha bisogno.
Non sono fatto per questo tipo di lavoro come è diventato, non sono fatto per i computer, li vorrei usare il minimo indispensabile.
Sono stanco di vagare per la città in mezzo alla confusione.
Come mi sento bene quando faccio i lavoretti a casa mia. In questo momento mi sento come un bambino, con bisogno di strema attenzione, di appoggio, di aiuto.
Io, che pretendo troppo da me stesso e quindi anche dagli altri, invece di pensare automaticamente che gli altri possono avere più problemi di me, non riesco a lasciarglieli a loro ma li sommo con i miei e la testa fa tilt.

D. P.

 

 

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