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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica
Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis
- 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di
Torino n° 5671 del 13/02/2003 |
NUMERO 9-10-11 - anno 5° -
Settembre-Ottobre-Novembre 2007
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PAGINA 7
"Con un dito puoi
toccare il cielo
con un sorriso porti qualcuno in paradiso"
Pascoli
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LA VOCE DEI LETTORI
Anche i famosi vivono i loro mali!
Tv e giornali hanno riportato con vistosi titoli la notizia della morte di due persone che lo spettacolo ha fatto diventare famose: Luciano Pavarotti e Gigi Sabani.
Per la gente comune entrambi appartenevano a quel mondo che pare al di sopra di sofferenze, disagi, povertà, affanni.
La gente invidia chi sta in tv, convinta che “quelli si, non hanno problemi, si che loro stanno bene e non gli manca nulla” .
Ma non è così. I guadagni, i soldi non possono nulla di fronte ai dispiaceri, ai problemi, alle perdite di persone care.
Gigi Sabani era una persona di spettacolo affermata. Appariva sempre allegro. E’ stato stroncato da un infarto, e se n’è andato in poche ore.
Sul video sembrava felice, spensierato.
Eppure, leggendo tra le righe delle notizie che lo riguardavano, si scopriva che tanto felice non lo poteva essere: era stato accusato di cose gravi, aveva perso la mamma alla quale era molto attaccato.
Ed allora viene un dubbio: che il suo cuore si sia fermato perché non aveva più gioia di vivere?
Luciano Pavarotti: ha combattuto sino all'ultimo contro una malattia bruttissima.
Com’era in realtà la sua vita?
Non era quella dei palcoscenici, dei grandi applausi, dei ricevimenti, dei sorrisi sotto i riflettori. Separato, con figli piccoli, e lui con un corpo anziano pieno di ansie e di malanni.
E’ il pegno della popolarità?
E’ ciò che si deve pagare per l’effimero successo esaltato dai media?
C’è una morale di fondo: nella vita bisogna saper godere di quello che si ha e si fa’, senza rimpianti né autocondanne inutili.
Le recriminazioni non fanno altro che peggiorare il nostro cammino.
Se le difficoltà non esistessero, se mancassero i problemi, le incavolature, le ansie, non saremmo su questa terra.
La realtà è che ognuno di noi ha i suoi problemi, grandi o piccoli che siano.
Per comprendere determinate cose, bisogna fare un lungo percorso interiore che porta l’uomo a vivere di una particolare ricchezza: non di denaro, ma di animo.
D.S.
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Agli inizi del secolo scorso nacque una corrente filosofica che si chiamò “nichilismo” termine usato per definire atteggiamenti di pensiero contrari alla realtà. I credenti definirono nichilisti i non credenti ( il termine era già stato usato da Sant’Agostino).
Nietzsche aprì a Torino un “salotto nichilista” considerando questa filosofia come “rifiuto di tutti i valori”.
Da questa premessa appare evidente che in passato il nichilismo fosse essenzialmente negativo.
Vito Ferro, dinamico scrittore e presidente dell’Associazione “Ombre”, si pone una domanda in chiave moderna: “È possibile ipotizzare un nichilismo positivo?”.
Ecco un brano della sua lunga lettera: “Nonostante sia di gran moda (ma spesso camuffato o piuttosto ignaro), il nichilismo positivo rimane un scoglio profondo nella discussione esistenziale.
E' davvero possibile ipotizzare una mancanza di senso nella vita, un porre fuori ogni valore precostituito e da qui partire per fondarne di nuovi (una nuova tavola)?
Il tema mi affascina molto. Immaginare replicata la discussione a distanza tra due pensatori come Nietzsche e Dostoevskij, l'analisi acuta degli aspetti più pregnanti del nichilismo che essi ne fanno. Il nichilismo negativo, quello che distrugge ogni senso e quindi la morale stessa, pare chiudere in un vicolo cieco coloro che lo pensano.
Si arriva a teorizzare il suicidio e la libertà assoluta intrinseca al gesto volontario del porre fine alla propria vita.
Il nichilismo negativo va superato.
Si pongono nuovi valori, una nuova scelta.
Ma è davvero tale, se inserita in un orizzonte concettuale ed esistenziale dove tutto è precario, dove tutto frana?
"Se Dio non c'è, allora tutto è permesso" dice Ivan Karamazov, il personaggio di fantasia del romanzo di Dostoevskij che incarna la forma di nichilismo più estremo. Anche il dolore perde qualsiasi connotato morale. Lo sa bene Raskolnikov, altro personaggio di Dostoevskij.
Nietzsche crede di trovare la possibilità di fondare un nichilismo positivo.
Una morale/non morale che sia al di là del bene e del male. Come un gioco (creativo) di un bambino. Dostoevskij cerca di smontare questa conclusione e lo fa inscenando il dramma umano nella sua interezza. Raskolnikov uccide perché teorizza il superamento di questa morale.
Per poi distruggersi la coscienza e cercare riscatto nel dolore.
E più ancora più lontano si spinge Stavrogin nei demoni. Indifferente al compiere malvagità e bassezze o atti di bontà. Finirà suicida (nella mente l'ultima implacabile immagine della bambina offesa che gli punta il dito, muta).
Ivan Karamazov arriva a smantellare il senso della vita, di una presunta armonia escatologica, finale.
Ma anch'egli subisce la tentazione del demone (l'allucinazione finale) che, anche se dapprima sembra fondare con le sue parole un senso dell'esistere, e lo fa grazie al dolore, unica vera conferma di vita, in definitiva ridicolizza anche questa stessa pretesa di autenticità.
E' tutta una farsa che gli uomini continuano a prendere troppo sul serio, dice all'allucinato Ivan, il diavolo che è egli stesso. Il dubbio implode su se stesso, per lasciare posto allo smarrimento infinito.
Vito Ferro
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