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Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

NUMERO 8-9-10-11 - anno 2° - Agosto-Settembre-Ottobre-Novembre 2004

PAGINA 4

"Contro la noia anche gli dei lottano invano"
Friedrich Nietzsche

vigneto
 

In cerca di un luogo tranquillo

 

Spesso chi si mette in viaggio alla fine della settimana, cercando di evadere dalla città in cerca di un posto più tranquillo, pensa alla mèta e non si cura affatto di ciò che gli passa accanto lungo il tragitto. Ma coloro che viaggiavano nel passato, quasi sempre con fatica e in modo assai disagevole, l'ultimo approdo non era che un pretesto per osservare, cammin facendo, città, villaggi e paesaggi naturali. Oggi ci si sposta in minor tempo e le visioni si susseguono con un ritmo affannoso. Le immagini si affollano, si accavallano, si confondono, sbalzati come siamo in breve volger d'ore in climi e in ambienti diversi e contrastanti. Così il movimento diviene fine a se stesso, anziché strumento del vedere e, nello stesso tempo, distoglie la mente dall'osservazione attenta.
I viaggi "d'autore" dunque, venivano effettuati più per una sollecitazione intellettuale che per una evasione dalla vita quotidiana, come possiamo notare anche nei dipinti romantici, nei quali l'uomo è sempre in primo piano, proteso verso le sue opere e circondato dalla natura e dagli strumenti del suo lavoro.
Cosicché da Montaigne a Goethe, un folto gruppo di viaggiatori utilizzarono questo sano ed utile criterio per ammirare le bellezze paesaggistiche dell'Italia. Un criterio affatto disdicevole se, con intenti più modesti, impariamo ad ammirare la natura, la cultura e l'arte della nostra terra. Scegliendo simbolicamente un itinerario a caso, per esempio la strada che collega Torino a Montà, attraverso la statale per Alba che ci conduce nella terra consacrata al vino, scopriremo, fra i contorti e variegati rilievi, l'alterna vicenda di un mondo rurale, dove sono situate le nostre radici più autentiche ed insieme il nostro modo di vivere.
Poco prima di entrare a Pralormo, l'ombra d'una vecchia quercia oscurava il tetto di un cascinale, proiettando sui suoi muri stonacati una macchia, simile a scarabocchio di mano incerta e disattenta in margine alla pagina sgualcita d'un quaderno. Accanto, le onde del grano sospinte dal vento si curvavano silenziosamente sul piccolo dorsale, dove i pennacchi delle canne, risparmiate dalle insidie del ruscello, stavano ritte come sentinelle vigilanti sull'arida bassura che si staglia lungo la strada. Più avanti, ci siamo fermati nei pressi della Madonna della Spina: qui le lucertole facevano orgia di sole sulle pietre levigate dal tempo e il cinguettio scomposto ed intermittente dei passeri interrompeva la monotonia del paesaggio, facendo eco alle auto che sfrecciavano, per dileguarsi lontano. Il muggìo d'un armento sovrastava la collina oltre la strada: lo si intravedeva dalla polvere degli aratri che fendevano le deboli zolle, là dove scende il crinale che tratteneva il sole, oramai ridotto ad un pallido lume, sopraffatto dalla gran massa indaco della montagna.
La terra del vino, gentile preludio dell'esultante estate e prediletto frutto di queste colline, ci ha subito conquistati per la sua antica vicenda intessuta di duro lavoro, di ansie, di timori e di speranze. Sulle creste tinte dalle macchie brune delle foglie trasportate dal vento, i filari non allineavano più che sostegni piegati e tralci contorti e cadenti. L'indifferente viaggiatore avrebbe potuto immaginare che dal groviglio di sterpi non sarebbero rinate che disillusioni, e se poi avesse scrutato dall'alto di un'ardita cima, durante una grigia giornata di pioggia l'immensa solitudine scarmigliata, gli sarebbe apparsa ancor più evidente la desolata malinconia di quei paeselli affiancati dalle loro chiese, dalle quali non avrebbe udito che il lamentoso suono delle campane. Ma la realtà è ben diversa: non è illusione il silenzio e la serenità che ci circonda, ma è sogno, delizia, fiaba, forse nata un giorno molto lontano, nel fermo silenzio degli smisurati boschi che regnavano sovrani nella zona.
Proseguendo il nostro viaggio, abbiamo deviato a sinistra, raggiungendo Montà con il suo castello ridotto a dimora signorile nell'interno di un grande parco. Dai Roero ai Malabaila e poi agli Isnardi, esso subì tutta una serie di rimaneggiamenti e adattamenti.
Nel fianco, si intravedono ancora elementi medioevali. Piccolo gioiello non secondario, ci è apparsa la chiesa tardo romanica dedicata a Sant'Antonio, ristrutturata nel 1650.
Alcuni punti devozionali, come il santuario dei Piloni, nella regione Laione, ricordano non solo la pietà popolare, ma forse anche reminescenze pagane ispirate alla dea Diana. Appollaiati sui rilievi, le frazioni di Gianoli, Rolandi San Rocco e San Vito, fanno da corona al paesaggio. In quest'ultima località, immersa nel verde, dove ci siamo attardati, i pensieri usati si sono dileguati, mentre, avvicinandosi l'imbrunire, si destavano i sogni dell'inconscio, pur non avendo né suono né forma, quasi immagini sbiadite o sensazioni senza volto, che ondeggiavano nella quiete agreste.
Nella notte poi, le ombre della collina di San Vito si piegavano per risorgere sui ridenti vigneti, mentre i nembi foschi della bruma dei noccioleti ancora in subbuglio, strisciavano lungo i prati orlati di verde: ultimi rimasugli d'una lotta misteriosa che si scioglieva fatalmente alle primi luci del mattino per avventarsi sul gran cerchio dell'orizzonte e sui tenui profili dei casolari adagiati
sul dorsale. Forse eravamo in presenza dello scenario usato d'una commedia antica, perennemente in cerca d'autori e di plasmatori, una commedia scritta sulle lame di nebbia che evaporavano dalla terra arata, dove il gallo dalla turgida cresta e dai rossi bargigli, continuava il suo canto eterno, lasciando sotto quell'esile impronta abbandonata sull'erba, la tenera carezza della vita.

Mario Ogliaro

 

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