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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica
Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis
- 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di
Torino n° 5671 del 13/02/2003 |
NUMERO 4-5-6-7 - anno 5° -
Aprile-Maggio-Giugno-Luglio 2007
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PAGINA 2
"L'adulazione è una moneta falsa che viene spacciata solo dalla nostra vanità"
François de La Rochefoucauld
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A mio fratello
La vita è tutta una sorpresa, sempre.
Tutto pensi e tutto è diverso, imprevedibile, improvviso.
Uno squillo di telefono nella notte e lo scenario cambia di botto, la realtà a cui pensavi è mutata, il quadro si capovolge, la certezza di ieri si è infranta. Una voce che ascoltavi non c’è più, un volto che vedevi è svanito, un profumo che odoravi, un abbraccio che provavi, è tutto svanito per sempre, lontano, se pur eterno dentro di te.
L’abitudine ti fa soffrire, è l’ora della telefonata e ti manca, è quel suo chiedere “State bene?” a volte ripetuto che ti manca, è il tuo egoismo che bussa, il tuo appoggio che non c’è più, che urla un dolore acuto che non sa esprimersi: il dolore della perdita improvvisa di una persona cara.
È la materia che non vuoi lasciare e me ne sono ben resa conto là, in quel posto strano, quando tutto è sparito dentro quella porta, nel niente, nel non so, nella cenere del fuoco.
Non ci ho dormito. Quanto dovrò ancora lavorare su questo?
Tanto quanto l’effetto che mi ha causato.
Ero attenta a me stessa ed ho visto quanto è stato grande lo sgomento del distacco, il non più corpo, quella figura signorile e buona mai più tra di noi, mai più.
E’ il mai più che non accetto, il per sempre che non mi va giù, l’incredulità di questo vuoto che mi ha creato questa scomparsa, che scomparsa non è e lo so, ma è, dura veramente anche se so che non è così.
Non posso neanche piangere io, non posso per mia madre e per mia figlia e per mio fratello che se ne è andato, lui non vorrebbe, lui che chiedeva sempre con apprensione “state bene?” ed era un sì che attendeva, solo quello.
In lui vedevo mio padre e con lui è sparito questo di me, la mia radice più profonda, quell’essere speciali in un modo semplice e caro, quei due distinti signori della mia vita di sempre.
Da piccola lo volevo imitare in tutto mio fratello, lui era molto più grande di me ed io ne ero orgogliosa e lo sarò sempre, ma mi manca già, ora, dopo due giorni che non c’è e sento l’ultimo suo saluto, quello di domenica alla festa dei miei 60 anni e la sua gioia tenera e dolce, il suo commuoversi.
Un arrivederci, non voglio un addio ed un mai più.
Luigina
Compagna di
viaggio
L’invidia è una profonda compagna di viaggio, viene con me, più di una valigia.
Nella valigia metti tutto quello che ti può servire, che pensi che ti possa servire, a volte metti anche di più, non si sa mai! Ma mai vai a pensare che lei, la mia invidia, mi accompagna sempre,muta, silenziosa, fantasma, ben nascosta, non pensi più di avercela, non pensi proprio che c’è, che è lì, dentro di te, nascosta.
E poi di colpo si manifesta, a 500 Km. da dove vivi, ma si manifesta.
Basta un mio sguardo, un mio guardare, un mio pensare, un mio veloce pensiero, più veloce di quanto io possa accorgermi della sua stessa velocità, e lei si ripresenta, fresca, brillante, come se non avesse fatto il viaggio per me stancante.
Io ero stanca, il mio corpo ero stanco, la mia testa era stanca, lei no, lei si è ripresentata fresca, fresca a disturbarmi.
Facevo finta di non vederla, volevo cacciarla via come una scomoda compagna, ci ho anche litigato dentro di me, ho dato della stronza a me, ho dato della stronza a lei, ma eravamo tanto insieme che non so chi delle due si è presa di più della
stronza.
Non la sopportavo, ma non la controllavo, la sentivo e non volevo sentirla, ma lei fresca, brillante, danzava dentro di me come una ballerina petulante, disturbante.
E mi accorgevo che mi sentivo impotente, e questo mi faceva rabbia perché non la volevo a disturbarmi, invece l’ho permesso.
Mi faceva pensare, mi faceva giudicare, mi faceva sentire incapace, mi faceva sentire meno e non mi ha fatto vivere pienamente quel viaggio, come avrei voluto.
Ma almeno così ho avuto l’opportunità di vedere ancora meglio che lei è proprio presente da molto tempo, ma sarebbe ora tempo di mandarla al diavolo.
Gianna
Chiaro scuro
Come ti invidio amore mio!
Non so se è più l'invidia o più l'amore, ma forse l'amore con questo non c'entra.
Non ho giorno in cui non ti invidio qualcosa e non me ne accorgo, il più delle volte.
Così aderente a me come pellicola trasparente che non la vedo.
Ma la tua dolcezza, il tuo saper perdonare, il tuo sapere aspettare, il tuo avere pazienza, il tuo sorridere, il tuo cuore, il tuo slancio, il tuo sorriso, come li invidio amore mio.
Se solo sapessi quanto ti invidio, non so quanto potresti amarmi ancora.
Ma io ti sto vicina!
Forse nella persona alla quale ci si lega, sono racchiuse le nostre più grandi invidie.
Quello che mi manca lui ce l'ha, ed anche lo stipendio è più alto del mio...
Ma possibile che la mia vita sia un elenco di invidie?
E quando finiscono?
Continuo a guardare te e non ho me, abbraccio te e non me.
È questa una grande solitudine.
Gabriella
Sessant’anni
Mi sono messa il mio bel cappotto vecchio con la pelliccia al collo e ai polsi e mi pareva di essere di nuovo io, quella dell’ufficio, la signora Averis di sempre.
Dov’ ero andata in questi anni non lo so o forse in un pensionato anonimo e senza senso, fatto di pantaloni e scarpe basse, biglietto del tram e molta economia.
Purtroppo la realtà d’ oggi obbliga anche me a fare i conti, perché non si può più spendere quel che si vuole senza ponderare la spesa, ma indossare quelle belle cose che ci sono negli armadi, quello si che si può , anzi è doveroso, è un rispetto per me stessa che a poco a poco ho dimenticato e messo in un cassetto per sempre.
Che cosa ho pensato che fosse la pensione, non ce l’ho chiaro, ma certamente una cosa da vecchi, una limitazione di spesa, un accontentarsi di tutto, un “ormai”, ma l’interiorità non conosce queste cose, queste barriere, questi limiti e vuole vivere e così sono caduta in un piattume senza senso e senza quel buon umore e quella voglia di vivere che avevo anche solo cinque anni fa, sono andata in decadenza, in un personaggio peppioso ed antipatico che ce l’ha un po’ con tutti perché il mondo pare ce l’abbia con me.
Sono scattate in modo secco gelosie di affetti, richieste di attenzioni, rabbie e rancori che la signora con la giacca ed i tacchi non aveva più, aveva lasciato dietro negli anni e allora come vedere il mondo con quel sorriso del dentro, di quel cuore che c’è ma è coperto dal piattume dei condizionamenti?
Eppure c’era chi mi avvisava, ma la mia presunzione mi ovattava le orecchie e via per quella discesa. Poi provo a vestirmi come un tempo e quasi ne ho vergogna, non mi pare il caso, faccio fatica.
Ma come, come si fa a far fatica nel vestirsi bene, nel tenersi su !?
Occhi ciechi ed orecchie sorde, eppure ero io, quella di prima, certo, ma nella testa un condizionamento atroce dell’ormai, dell'aver finito la vita del lavoro, del fare, del produrre, dell’azione, invece no, ho finito solo il modo di fare, ma io voglio essere la signora Averis di sempre.
Buon compleanno a me, al mio corpo di sessantenne, ma al mio altro senza età.
L. A.
Non possiamo
essere amati
da chi vogliamo
Due anni esatti, due anni aspettando l’amore da una persona che non me ne ha mai dato!
Che cosa ho avuto? Mi sono sentita una nullità…
È stato come se lui capisse questa mia dipendenza e mi schiacciasse in un angolo. E anche se ho avuto per breve tempo quello che pensavo di volere, non ero felice.
Mi attaccavo a lui, ma lui aveva i suoi problemi e chiedendo a lui i suoi problemi diventavano i miei.
Ho imparato quanto può essere brutto sentirsi dire: “Io non ti amo”. È come una pugnalata, ti tramortisce, ti fa girare la testa. E io gli permettevo di dirmelo, perché andavo a chiedere, perché mendicavo il suo amore.
Ma che bisogno avevo di mendicare?
Adesso sto male è vero, ma dentro di me capisco che mi procuravo da sola la sofferenza.
Tutto questo è accaduto perché delegavo a lui, perché nella mia testa sogno un giorno di potermi sposare.
È uno schema, un condizionamento, per andare via da casa: bisogna sposarsi. E adesso che queste quattro mura mi stanno un po’ strette finisco per attaccarmi come una disperata a chi penso possa togliermi da qui…
Ma nessuno mi toglierà da qui, se non mi tolgo da sola…
Devo farcela, devo farcela da sola…
G. P.
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