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Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

N° 9 - anno 8° - Settembre-Ottobre-Novembre-Dicembre 2009

PAGINA 8

   "Chi disprezza le piccole cose, non è degno delle grandi"   
Seneca

Ovidio

Publio Ovidio Nasone nacque a Roma 43 anni prima di Cristo.
A sei anni componeva poesie a dieci scrisse una commedia. 
Questa sua irresistibile inclinazione,dimostrata per la rima, condizionò tutta la sua vita. 
Fu uno scrittore fecondo, ed allo scrivere dedicò completamente il suo spirito innovatore e fervore creativo. 
A poco più di vent'anni godeva già dell'amicizia di alcuni grandi poeti del tempo, soprattutto del«circolo» di Messalla, ed era acclamato dalla società mondana e raffinata come il brillante interprete del proprio mondo spregiudicato e frivolo. 
Da questo ambiente corrotto romano attinsero ispirazione le sue prime opere: Gli amori, è una raccolta di elegie in cui nella passione per una immaginaria Corinna concentra una fiorita gamma di esperienze amorose.
Esperienze che nelle Eroidi vengono descritte in ogni particolare licenzioso. E' per questo che con Ovidio inizia un genere nuovo dell'epistola, non solo romantica, ma abbondantemente erotica.
I suoi versi traevano motivo dalle mitiche relazioni di eroine e di eroi, ed offrivano un linguaggio idoneo alla più svariata casistica d'amore. 
Negli anni successivi si assunse apertamente la funzione di precettore nel campo dell'eleganza e dell'erotismo con il Medicamina formae o faciei foemineae, un originale prontuario di trucco e cosmetica destinato alle matrone romane su come far sparire rughe e brufoli, migliorare il proprio aspetto e sedurre gli uomini con gesti, canti e prelibati piatti di cucina. 
L'arte d'amare, è un originale guida sistematica della pratica della seduzione per uomini e donne, mentre Remedia amoris, è un trattato in 810 esametri concernente i rimedi per guarire o salvaguardarsi dalle passioni amorose. 
In età matura abbandonò il tema romantico per affrontare la mitologia Compose in esametri i quindici libri delle Metamorfosi, comprendenti la maggior parte delle favole eziologiche dell'antico mito, dal Caos al potere di Cesare e all'apoteosi di Augusto, e si accinse ad illustrare in distici elegiaci il calendario romano (Fasti). 
Nelle sue rime iniziò ad introdurre una critica ai costumi romani, che giudicò prossimi ad abbattere la grandezza della città. 
Nel pieno della fortuna e dell'attività creativa, che lo poneva ormai tra i maggiori poeti di Roma, fu colpito da un ordine dell'imperatore che gli imponeva di smettere di scrivere. 
Ovidio non accettò la censura e così fu relegato in un paese lontano abitato dai Geti, a Tomi, sulle coste del Mar Nero. 
Durante questa prigionia, che durò fino alla morte (18 d.C.), trovò sfogo al dolore nella sua inesauribile vena poetica, componendo cinque libri di Tristia e quattro di Epistulae ex Ponto.
In questi testi egli riflette sul valore della vita umana, sulle false amicizie e sulla nullità della vita oziosa che imperava a Roma. 
Notevoli sono le sue considerazioni sugli schiavi e sullo strapotere che Roma esercitava sui popoli conquistati.
Probabilmente sono state proprio queste critiche che spinsero Augusto ad espellerlo dalla città eterna.

 

 

 

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