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Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

N° 1  anno 19° - Febbraio 2020

PAGINA 2

   "Stai lontano dalle persone negative. Hanno un problema per ogni soluzione"    
Albert Einstein

scrivere

Scrivere è bello! E fa bene

Scrivere. Oggi scrivere è avere me come interlocutore, quello che mi è mancato o che mi sono fatta mancare. Per questo ho sempre avuto più facilità a scrivere che a parlare. Per questo, scrivere, mi è sempre piaciuto, potermi esprimere almeno scrivendo. Mi sento più libera.
E’ ciò che provo in questo momento, sono sola con me ma non c’è solitudine. Quella la conosco bene, ne ho provata tanta fin da bambina.
Non ricordo di qualcuno che parlasse con me. Li vedevo parlare tra di loro i grandi, di me stranamente non ricordo parole, di me solo silenzio.
L’unico con cui avevo un rapporto alla pari era il gatto, ma anche lui non parlava. Non ricordo un dialogo vero e proprio con alcuno di loro, solo parole che mi facevano sentire sgridata, perché di marachelle ne avrò combinate! Forse era l’unico modo per comunicare con i grandi.
Ecco, non ho conosciuto il dialogo, l’esperienza dell’esprimermi, del parlare con qualcuno, uno scambio, un interessamento, una considerazione, una partecipazione.
Ricordo addirittura che, anni dopo, già adolescente, quando un adulto parlava con me, dandomi l’impressione di essere considerata, rimanevo talmente intimidita da sentirmi bloccata nella parola, impreparata a un dialogo, dando di me chissà quale impressione.
Questo ricordo mi crea ancora un dolore acuto e mi sento un nodo in gola se penso alla vergogna che provavo per essere come ero, per come vivevo male senza capire perché, sentendo solo la mia insicurezza, quel sentirmi inadeguata, meno degli altri, perciò da parte, sempre in colpa per qualcosa, senza ambizioni, con la paura di fare, di non essere in grado, sempre più affossata in una pigrizia simile a una sabbia mobile.
Che bella carrettata di roba mi sono portata dietro. E’ tutto nella mia memoria, ciò che sono stata e ciò che sono oggi, ciò che mi porto ancora dietro da migliorare, come l’insicurezza che ricompare quando meno me lo aspetto e la pigrizia che, pur di molto alleggerita, rimane uno dei miei più affezionati difetti.
Le prime cose per cui sono stata lodata sono avvenute a scuola, intorno ai 12 anni, quando ho capito che mi piaceva disegnare e poi l’insegnante appendeva i miei disegni al muro vicino alla cattedra, segno di considerazione e per la prima volta vedevo di me qualcosa di buono.
Anche scrivere i temi mi piaceva, per me uno dei momenti più belli in cui potevo esprimere ciò che di sconosciuto tenevo dentro. 
L’insegnante di lettere, Suor Giulia, romana simpaticissima, mi diceva che ero molto profonda per la mia età, ma io non me ne rendevo conto, è come se mi avesse detto che giocavo bene a palla.
Lei era una giovane suora molto esperta e molto avanti rispetto ai soliti vecchi schemi cui eravamo abituate. 
Sicché un giorno disse:” Ragazze, oggi tema!”, mise una matita in piedi sulla cattedra e disse:” Titolo del tema: IO E LA MATITA”.
Ricordo lo sconcerto negli occhi delle compagne, io lo sentii come una sfida, un’avventura e, tolte le briglie alla fantasia, scrissi e scrissi, tanto avevo da dire su quella matita.
…cara Suor Giulia! Ti dico ora quel grazie che non ti ho detto allora, per averci insegnato ad osservare anche una piccola cosa come una matita!
E quella matita me la sono portata nel disegno, ora lo sento tutto legato dentro di me. Perché quella matita è ricomparsa molti molti anni più tardi quando Carla ha cominciato a spingermi affinché riprendessi il disegno abbandonato 40 anni prima, affinché riprendessi a vivere questa mia capacità.
Grazie a lei mi sono uscite cose così belle che ancora oggi quando le guardo faccio fatica a credere che siano opera mia. Grazie Carla! È la prima volta che mi commuovo così, pensando a ciò che teniamo dentro inespresso. Tu l’avevi visto e, grazie a te, i miei occhi hanno potuto vedere la mia mano che disegnava e creava, guidata da quella Cosa Grande che sto riconoscendo in me. Anche in questo momento i miei occhi vedono ciò che la mia mano sta scrivendo sempre guidata da questa Cosa Grande che proprio ora si manifesta in modo così intenso tanto da farmi posare la penna in un silenzio di commozione.

E’ bello scrivere! E fa bene.
Mi è uscito più di quanto potessi immaginare.
Ora inizio la mia giornata più leggera, ho alleggerito la mia memoria…di qualche chilo!

Rosanna

 

 

Fa parte del conoscere noi stessi

Ho scoperto che l’aspettativa è una ragnatela infima. Vedere l’aspettativa come un’infima ragnatela è per me una grande scoperta. 
Lei mi gira dentro subdola, ogni tanto pare che sia scomparsa, invece, la malefica, riappare prepotentemente, all’improvviso, dal buio più profondo e mi avvolge silente ed io non mi accorgo neppure come mi avvolge, anzi non mi accorgo neppure come io ci sia finita dentro fino al collo, fino a quando Carla non me la fa vedere, ma questo vedere dura poco, dopo qualche giorno ci ricado, sempre da cieca incosciente e Carla me la fa rivedere. Ed io, invece, ripeto il meccanismo e ci ricasco, alla prima occasione, in cui mi aspetto qualcosa da qualcuno e ricostruisco dentro di me la prigione della mia ragnatela della mia stessa aspettativa. 
Pensando alla mia ragnatela, mi sono ricordata, di colpo, il ragno che si costruisce la ragnatela fra i rami dei miei corbezzoli ed ogni giorno la fa più grande e più spessa. Ed io la tolgo con la scopa, ma lui, il ragno, la ricostruisce in poco tempo pari pari ed io, pari pari, la distruggo perché quella ragnatela è innanzitutto brutta da vedere e perché, avvolgendo i rami dei miei corbezzoli, li fa ammalare. 
Ecco, il ragno costruisce la sua ragnatela per attirare e bloccare gli insetti che poi mangia, è una legge della natura, ma quella ragnatela non è chiusa, è molto ampia, è aperta, così gli insetti entrano meglio e restano intrappolati e lui, il ragno, se ne ciba come se fosse nel suo supermercato. 
Ma la ragnatela della mia aspettativa non è aperta, è chiusa, io stessa la costruisco e la formo ogni giorno più spessa e più grande ed io stessa ci resto prigioniera, senza accorgermene. E questa ragnatela si spezza ogni volta che Carla me la fa vedere, si spezza ed io mi sento meglio perché la vedo e mi sento liberata da un peso offuscante. 
Ma poi, alla prima occasione, ci ricasco e rammendo il pezzo che era stato squarciato dalle parole di Carla e ricomincio, da vera stupida incosciente, senza accorgermene, a rattoppare ed anzi il rattoppo non lo vedo neanche più. 
Mi fa rabbia fare così, essere così, ma è così, ed è già tanto che comincio a vedere e rivedere questa costruzione e ricostruzione che io stessa fabbrico. Con la testa mi dico non ricaderci ed invece ci ricado e dal buio profonde di me stessa riparte, alla prima occasione, la ricostruzione della ragnatela della mia aspettativa. 
Tecnicamente vorrei far roteare una scopa per distruggerla, come faccio con la ragnatela che avvolge i miei corbezzoli, ma questa scopa tecnica non esiste se non la mia continua e ripetuta presa e ripresa di coscienza dentro di me, che non devo e non posso assolutamente abbandonare. 
Non voglio più soffrire e ripetere continuamente la sofferenza, le sofferenze che mi creano la mia stessa aspettativa, costruita da me stessa.

Gianna

 

 

Il sentimento
I miei genitori

Quando c’è il sentimento si sente. Vale di più delle parole. Va al cuore. E si sente.
Perché rilascia una sostanza fluida ma impalpabile che calma, che non puoi non avvertire e di cui non puoi non beneficiarne.
E’ sempre quello: è come vengono dette le cose, l’intenzione che sta dietro. Quel sentimento che se c’è si sente. Si emana, e tutto è più semplice. Più delicato e nonostante le difficoltà, ti da una marcia amorevole per risolverle.
E’ la prima volta che vedo i miei genitori commuoversi insieme. E io con loro.

Stefania

 

 

 

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