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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica
Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis
- 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di
Torino n° 5671 del 13/02/2003 |
N° 1 - anno 12° - Marzo
2013
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PAGINA 3
"La giustizia non può esistere là
dove non vi è possibilità di esercitarla in assoluta libertà"
Luigi Einaudi
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Il vecchio
"ciuf ciuf"
Che comodità il Freccia-Rossa! Tre quarti d’ora e da Milano arrivi a Torino. Passa in un attimo.
Torno indietro con la memoria e mi ricordo quanti viaggi in treno ho fatto io, da Torino a Palazzolo Vercellese, quando ero poco più di una bambina e mia madre mi accompagnava a Porta Susa, affidandomi a dei signori che conosceva che ogni giorno venivano a Torino a lavorare in Fiat e la sera tornavano a casa.
Allora non c’era problema nell’affidare una quasi bambina a delle persone solo conoscenti, c’era un clima diverso, di povertà dignitosa e di un reciproco aiuto.
Io mi sedevo sul sedile di legno della carrozza, ascoltavo i discorsi dei pendolari e guardavo dal finestrino la periferia di Torino e la campagna che scorreva veloce.
Quelle stazioni le conosco a memoria: Settimo, Chivasso, Verolengo, Fontanetto e Palazzolo. E le due ore di allora passavano veloci, tra l’odore del carbone e il sudore dei lavoratori.
Il predellino per scendere era alto, specie se la mia carrozza non combaciava con la banchina della stazione, ma le mie gambe erano giovani e veloci ed il mio sguardo cercava lo zio Caime, che, con la bicicletta, veniva ad aspettarmi per le vacanze.
Ero contenta: eccolo lì con la sua tuta da fabbro e quel suo odore misto di ferro e di unghia bruciata del cavallo che aveva appena ferrato.
Mi sentivo in libertà, per me era vera vacanza e poi stavo con le persone che mi volevano bene.
Il pensiero è corso veloce ed è tornato qui sulla freccia-rossa.
Mi guardo intorno: è pieno di pendolari. Ma dove sono i loro discorsi, le battute scherzose, le risate di allora?
E’ tutto silenzio, quasi un silenzio d’imbarazzo.
Davanti a me c’è una ragazza che dorme, di fianco un giovane con l’auricolare nelle orecchie. Oltre il corridoio, uomini e donne con il PC aperto sul tavolino o con la testa immersa in un libro.
E il comunicare tra esseri umani dov’è finito?
E’ come se ognuno non solo stesse in un suo mondo chiuso, ma non ne voglia far partecipe nessuno. Viceversa, c’è chi passa tutto il tempo del viaggio al cellulare ed i propri problemi li butta lì che entrino nelle orecchie e nella memoria di tutti, senza un po’ di gusto, di quella intimità e riservatezza che c’era un tempo.
Meno male che il percorso del treno durava solo tre quarti d’ora, perché mi veniva voglia di scappare.
Abbiamo guadagnato in velocità, abbiamo annullato le distanze, ma abbiamo aumentato la solitudine con il nostro modo di vivere. La tecnologia serve, per carità, ma non dobbiamo svenderci a lei, perché invece d’essere lei a servirci, siamo noi che diventiamo i suoi schiavi.
Ho rimpianto quel mio vecchio treno con il capotreno che alla stazione urlava:
“In carrozza!” e dava il via con il fischietto, perché su quello c’era la vita.
Luigia Averis
Sensazioni senza tempo
Stati d'animo si susseguono e diventano la mia giornata. Stati d'animo scaturiti da impatti ricevuti ed incassati con incoscienza. Impatti attuali che mi riportano a situazioni passate, mi riportano a reazioni di allora, un tempo che continuo a vivere, con lo stesso disagio incosciente.
Un malessere, un disagio parte di me, radicato profondamente, lontano, ma sempre pronto a ripresentarsi ad ogni occasione. Tutto racchiuso nel mio mondo di pensieri d'abitudine. Impatti e reazioni. Ferma li a subire questo vegetare, senza presenza e partecipazione. Chiusa nel mio schema mentale, limitato, molto limitato e da questo limite interpretare i miei personaggi ma anche farli indossare agli altri. Una fabbrica di personaggi che non esistono, ora lo so, ma che io creo e plasmo in base al mio limite. Ed ecco tutti i personaggi di una favola grottesca dove non c'è nulla di reale ma che sono diventati la mia realtà, la mia sofferenza. La sofferenza parte da me, dalla mia poco
conoscenza del mio sentire. Il mio sentire questo sconosciuto, così nascosto e subissato dall'abitudine. Seguire il mio sentire, scoprire il nuovo mondo, scoprire il mio cuore e si, vedere la meschinità della mia vita, tutti i falsi miti che ho creato lasciandoli andare, e gioire di questa opportunità. Gli attacchi ci sono, forti: sgomento, incredulità, smarrimento, falso orgoglio nel non voler ammettere di aver sbagliato, giudizio con mille e mille sfumature più o meno castranti.
Ma potendo scegliere chi sceglie di soffrire? Anche saper scegliere è una conquista della dignità. La dignità è un bene prezioso che mi fa sentire umana.
S. P.
Vedere meglio
Essere me, il mio essere. Essere stata sempre fuori, dietro ad altro e mai a me.
Il mio essere. I miei occhi, le mie orecchie, il mio pensare, il mio dire.
Prendere coscienza che di me c’è stato poco.
E’ come liberarsi da strati e strati e strati, di coltre, spessa. E pesante.
Uscire. Matrioska, una custodia dentro l’altra. A strati.
Vedere con i miei occhi. Un’enormità per me.
Con gli occhi miei è tutto diverso. Quello che vedevi prima non è esattamente quello che vedi adesso. E’ un’altra visione. Più giusta per me. Quella che mi compete. Quella di cui sono testimone, perché sono io che la vivo e conosco quello che vedo e che provo.
Altrimenti vivo una visione distorta, una piccola parte della realtà, che mi fa vivere fuori dalla realtà, che non mi permette di vedere la realtà, ma solo proiezioni di proiezioni.
Posso essere sicura solo di quello che vedo con i miei occhi, perché lo sto vedendo io, lo sto vivendo io, non per trasferimento.
Ed è tutta un’altra cosa, perché hai più capacità di gestirlo, sei più tranquilla e arrivano cose che non pensavi possibili, perché l’altra visione non le contemplava.
Stefania
Le rughe del non
vissuto
Se ho una rabbia dentro è nei confronti di me stessa, per aver vissuto una vita senza di me, identificandomi solo in un corpo, nel mio aspetto esteriore. Solo questo mi sentivo io. E man mano il naturale declino fisico è diventato per me motivo di smarrimento, testimone crudele di un “non vissuto”, e per “non vissuto” non mi riferisco a esperienze qualsiasi, ma proprio l’aver perso l’esperienza più grande: sentire me, rispettare me come essere umano, far vivere quella parte che attende in silenzio, che tutti abbiamo dentro, ma che pochi vogliono cercare.
Forse ci volevano le rughe, il cambiamento esteriore per riflettere su di me, per rendermi conto che io non sono solo quello, c’è ben altro e io me lo stavo perdendo. Quanto dolore stupido e inutile per guardare le mie rughe.
Allora in questo momento “benedetto” della mia vita mi sto chiedendo: “Io, Rosanna, cosa ho fatto mai veramente per me?”. Ed ecco lo smarrimento vero, la sensazione di vuoto, di perdita, di assenza, ecco qui il mio “non vissuto”.
Sento un battito forte che sale dal cuore, lui lo sa, perché è il sentimento d’amore per me che non ho mai conosciuto, sempre coperto da qualcos’altro: il dover obbedire, per esempio, senza ascoltare me, doveri, imposizioni, ribellione, senza ascoltare me, sempre nuovi impatti accettati e messi via come sempre, senza ascoltare me. Sembrava non esserci altro per me nella mia vita, una vita ferma perché ero io ferma dentro, per non conoscere, non sperimentare, non crescere. E quindi sbagli, paura, dipendere e tacere, senza coraggio, lontana dal pensiero di “autonomia”.
Mi sono domandata cosa avranno pensato gli altri di me, ora non mi importa più, ora sono io che mi domando “Cosa penso di me?”. Per avere sempre vissuto per gli altri, per servire gli altri, elemosinando gratificazioni, senza rispetto per me stessa. Ma come ho potuto vivere così, soffrendo ma senza cercare di uscire dalla sofferenza. Ma perché viviamo senza conoscerci, perché viviamo per gli altri, perché guardiamo sempre gli altri, perché vogliamo tutto dagli altri? Gli altri. Sono più quelli che si odiano di quelli che si amano. L’amore, così lontano da noi se lo cerchiamo continuamente fuori! Più lo cerchiamo fuori e più lunga è la strada per tornare a noi.
Quanto tempo mi ci è voluto per puntare il dito su di me, per capire che il mio dito puntato non voleva dire “giudizio”, ma vuol dire “direzione”. Punto il dito su di me perché sono io l’inizio, sono io il percorso, sono io il mio sentire, sono io la scoperta, sono io la gioia, sono io il cambiamento, perché sono io il mio tempo. Tutto questo è in me.
E una luce che si accende dentro rischiara così bene anche fuori.
Rosanna
Calma
Cielo azzurro, alberi verdi, aria, acqua, rumori più o meno intensi, sussurri di movimenti impercettibili, occhi che vedono, orecchie che sentono, emozioni e sensazioni in trambusto.
La vita materiale è veloce movimento e confusione di pensieri, la calma è un elemento prezioso, scomposto dalle idee frenetiche dei cambiamenti.
Che casino!
Voglio la calma, voglio il mio cuore vivo e al battito naturale del mio modo di essere.
Gene
Attesa
Gesù sta arrivando. Lo vedo scritto sui muri, sui foglietti incollati ai lampioni, sparsi per la città. Anche il mio Maestro l'ha scritto sul suo giornale.
Gesù – Amore: era un rivoluzionario, un pulitore di coscienze, un' Essere perfetto, che non si è venduto per niente e per nulla, perchè cosciente della sua perfezione nell'essere figlio di Dio.
Certo che quello che stiamo vivendo è una rivoluzione culturale che ancora non avevo assaporato. Se è vero che ci va una seria riflessione sulle nostre azioni, ciò che ci aspetta sarà veramente tragico.
Le persone che nella vita si sono comportate male avranno seriamente da preoccuparsi, le classi sociali che hanno abusato dei loro poteri cadranno in mano a un popolo rivoltoso..
Ed io? Continuerò la mia vita di sempre. Guarderò, ascolterò, ma nulla mi farà perdere la voglia di rivolgere ancora uno sguardo al bello, alla natura, al Creato e alla convinzione di essere parte, nella mia semplicità, della vita di Gesù.
Generosa
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