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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica
Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis
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Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di
Torino n° 5671 del 13/02/2003 |
N° 3
anno 13°
Dicembre 2014
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PAGINA 2
"In questo mondo nulla è certo.
Le uniche cose sicure sono la morte e le tasse.
Due cose che riempiono di allegria"
Franklin
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La vita: un
grazie
Quando la sai vedere, la vita è proprio giusta. Dico: quando la comprendi. Io per anni, diciamo per decenni, ho sempre creduto in maniera convinta ed imperterrita, senza alcuna incertezza, senza mai pormi il benché minimo dubbio, che fosse giusto essere così, essere una a cui tutto era dovuto. Il mio pretendere era dominante, ora lo vedo in modo ancora più chiaro, e vedo anche la mia mancanza del “grazie”, se non quel grazie formale, ripetuto, senza però alcun calore.
Oggi vedo come “un grazie” è importante, come cambia tinta e sfumature di colore da come ti esce da te, con il cuore o con abitudine. Bene, da anni mi ritrovo davanti due persone, che sono esattamente come ero io, ma solo da qualche giorno mi è chiaro: che loro sono così, lo sono sempre state e lo sono ancora, ed io per anni mi sono arrabbiata, infuriata perché non mi dicevano e continuano a non dirmi mai grazie, il grazie che mi aspettavo, che mi aspetto, che mi merito.
Ed io ho atteso quel grazie rodendomi dentro. Ma ora, che comincio a capire meglio come la vita ti pone davanti quello che non hai mai voluto vedere, vedo oggi come loro sono fatti, vedo i loro grazie mancanti, non espressi, perché loro ritengono giusto così. Ora che vedo come io ero, uguale a loro, e noto il mio percorso verso il riconoscimento delle mie mancanze e dei miei grazie non detti, ora, solo ora quell’energia di rabbia si è come disciolta. Non del tutto però, perché un po’ è ancora rimasta, ma almeno non ha più la forza, la forma che ha avuto per anni dentro di me. Ed io mi sono accorta che sto meglio, perché quell’energia devastava me, loro neanche lo sapevano e non lo sanno, ma io sì, perfettamente, e ho visto, una volta in più, che vedermi quello che ero e che sono invece oggi, fa solo star meglio me. E voglio proseguire, perché la mia serenità è la cosa migliore per me. Loro continuino a vivere così, sono fatti loro, problemi loro, l’importante, l’essenziale è che io ho visto, ho capito e voglio stare bene.
Robi
Come perdo la
serenità
E’ sempre il pensiero, quel dannato pensiero, è sempre lui: lo faccio, lo vedo, lo guardo… e poi sta a me non farlo diventare un pensiero fisso. Dove mi porta ,sennò, questo pensiero? Cosa mi lascia dentro? Per una cosa, una situazione che non so, che immagino, che è tutta… un pensiero. Ci risiamo con le congetture, mai in positivo, sempre da soffrirci, creo un ingorgo dentro di me, più niente scorre. Come può un pensiero diventare così padrone? Sto male eppure lo alimento, facendolo vivere ancora, lasciandogli spazio, dandogli importanza come se fosse in quel momento di “primaria importanza”. E creo un film che mi viene contro. Creo, costruisco e non mi accorgo che è solo fumo e non mi accorgo che mi avvolge e non mi fa più vedere la realtà.
E io devo perdere il mio tempo, devo perdere la mia serenità, la mia presenza e lasciar oscurare la mia coscienza da un pensiero che la fa da padrone dentro di me? Qui mi devo osservare: vale la pena? Vale, tutto questo, un pensiero? Non è molto meglio stare nel reale? Non è molto meglio che io punti le mie preziose energie sul presente, senza distogliere l’attenzione da me stessa, da ciò che devo fare per me, oggi? Anche qui mi devo osservare, anzi, qui mi devo “molto osservare”. Oggi è la mia vita, non è un film, è una realtà ed io ho il dovere verso me stessa di stare nella realtà, lascio i film agli altri. E’ nel reale che si costruisce ed io ho delle cose reali da vivere, ma ho bisogno di essere ben presente, con l’equilibrio che sento quando sono cosciente, quando sono con me. Tutto il resto è
fumo.
Rosanna
Il recapito di Dio
La maestra ci diceva “Dio è ovunque e in ogni luogo”. E mentre facevo le aste, pensavo “Dio sarà anche nella mia matita?” Non avevamo molti giocattoli allora, la bambola di celluloide, regalata a Natale, e i pupazzetti di plastica che trovavamo dentro le scatole del detersivo Tide od Olà. Quando mia madre tornava a casa con la spesa, io volevo subito aprire la scatola del detersivo per cercare, in mezzo alla polvere, il pupazzetto di turno. Ne avevo collezionato parecchi e con quelli giocavo, parlavo.
Ed un giorno, pensando a quel Dio di cui la maestra ci parlava quasi ogni giorno, che esiste ed è ovunque e in ogni luogo, ho preso due o tre dei miei pupazzetti e li ho messi sopra la stufa a carbone, accesa, chiaramente. Visto che non li potevo smontare, come avevo fatto in precedenza con la sveglia di casa, li ho voluti fondere per vedere se Dio esisteva e se, spaventato dal calore della stufa, sarebbe uscito dai miei pupazzetti. Guardavo con attenzione i miei pupazzetti colorati che si scioglievano sulla stufa e aspettavo che Dio uscisse da loro. Non mi interessavo affatto della puzza che si propagava nella cucina, guardavo e attendevo.
Certamente non mi aspettavo che all’improvviso arrivasse mia madre alle spalle, spaventata da quella puzza di bruciato che aveva sentito e che, arrabbiatissima. Come una saetta, prese lo spiedo ferroso col quale girava il carbone ardente della stufa e velocemente buttò a terra lui ed i miei pupazzetti di plastica. Era furente per quello che avevo fatto e che sarebbe potuto accadere .In effetti avevo corso un bel pericolo perché li avrei toccati per cercare Dio in mezzo a quella plastica fusa. Allora, chiaramente, non avevo capito la sua paura, oggi, rivivendo la scena, la capisco. Allora ero solo sorpresa della sua reazione e non capivo perché me ne avesse date tante di santa ragione, dopo che i miei pupazzetti fusi erano stati scagliati a terra. E così la mattina successiva a scuola, dal mio banco, in piedi, davanti a tutta la classe, dissi alla maestra che era una bugiarda, perché non era vero che Dio esiste, è ovunque e in ogni luogo, perché dai miei pupazzetti fumanti non era uscito niente, quindi Dio non c’era, quindi non esisteva. E così altra punizione dalla maestra e un’altra ancora da mia madre quando venne convocata a scuola ed informata di quello che avevo balbettato alla maestra, davanti a tutta la classe. Ero sballottata fra la maestra che diceva che Dio esiste e mio padre che diceva che Dio non esiste. E da quel giorno ho dato ragione a mio padre, almeno per quanto riguarda il domicilio di Dio.
Sono passati cinquantasei anni da quell’episodio che oggi, all’improvviso, mi è tornato in mente, perché oggi avverto ciò che allora non mi fu spiegato, e so che Dio esiste... anche nella plastica fusa...
Ci sono arrivata piano piano, con la ricerca interiore, prendendo coscienza di me, della mia esistenza, Dio esiste, esiste nel creato, il creato è stato creato da lui, noi siamo stati creati da lui, noi abbiamo lui dentro e non abbiamo bisogno di farci fondere per farlo uscire, perché ogni giorno è con noi, sempre, anche se non lo vediamo, ma lo sentiamo, quando vogliamo sentirlo e rispettarlo, perché lui è con noi, altrimenti non potremmo vedere, sentire tutto quello che vediamo e sentiamo ogni attimo della nostra vita. Vita. Me lo hai insegnato tu, Carla.
Giov. C.
La favola di Nuvoletta
le favole giuste per i bambini
Nevicava molto quella sera.
Il camino era acceso, i ceppi di legna scoppiettavano vivaci. La fiamma illuminava la stanza e il bel viso di Nuvoletta. Lei stava seduta sul tappeto, accanto al suo camino.
Era felice, Nuvoletta.
Si sentiva tutta sua, come era suo quel camino, quella legna, quella casa. Guardava la fiamma e sorrideva.
Quello era il suo paradiso, il suo sogno realizzato. Come pochi altri
Nuvoletta aveva un cestino di sogni, li aveva raccolti per strada, nel corso degli anni. Li custodiva gelosamente, Nuvoletta.
Aveva impacchettato i suoi sogni in una borsetta di tulle colorato. Nastrini verdi, rosa, gialli, celesti, bianchi. Aveva legato ogni pacchetto con un passamano di identico colore. Li custodiva gelosamente, Nuvoletta.
Di qualcuno era meno gelosa e allora lo tirava fuori dal suo cestino e lo mostrava solo a qualche amico selezionato, qualcuno che meritava di sapere e di vedere
Di altri sogni, Nuvoletta, era totalmente gelosa. Erano suoi e basta. Ogni tanto li tirava fuori dal suo cestino, ma solo quando era sola e davanti al suo camino.
Li slegava, li guardava, li accarezzava, li spolverava e poi li rimetteva in ordine. Quelli erano i soli sogni non ancora realizzati.
Nel cestino c'era anche un piccolo foglio di pergamena con l'elenco dei sogni realizzati. Il foglio era piccolo perché quelli realizzati erano veramente pochi. A lei piaceva rileggere quell'elenco, anche se desiderava intensamente scriverci ancora! Nuvoletta era particolarmente affezionata ad un pacchettino colorato e ne era estremamente gelosa. Per paura che il sogno scappasse dal pacchetto, come il genio di Aladino dalla sua lampada, non lo apriva mai.
Nuvoletta lo conosceva a memoria! Lo prendeva, lo accarezzava, lo teneva fra le mani, lo scaldava. Pensava al suo grande sogno con infinita dolcezza, mentre guardava la fiamma che ardeva nel camino.
Gianna Casula
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