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Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

N° 2  anno 16° - Aprile 2017

PAGINA 2

   "Disapprovo ciò che dici, ma difenderò alla morto il tuo diritto di dirlo"    
Voltaire

Più ti danno giga
più guardi fuori


Più giga, più minuti illimitati , più desideri , campi enormi, infiniti, giga , memorie, riserve, archivi dove posizionare pensieri, ambizioni, pulsioni e desideri.
E’ un campo infinito disseminato di occasioni immaginate, niente è vero e tutto virtuale, illusorio.
Allora lì, più ti danno giga, più sei fuori.
E’ il termine contemporaneo, illusorio della non esperienza.
È il cammino non fatto, è il processo del fermare l’esperienza e distogliersi dalla realtà, dalla verità, dal connotato di visione di te.
Sono i giga della non esperienza.
In realtà quel campo infinito in noi esiste ma in questo ponte al di là di noi sospinto da questa possibilità, andiamo fuori di noi.
Miliardi di miliardi di informazioni che invadono il mondo, possibilità di visioni , uno specchio di noi non ancora vissuto.
In realtà tutto questo, tutti questi giga ci distolgono dalla nostra visione, ci impediscono la nostra reale avanzata, la nostra crescita proporzionata alla nostra identità. Immettono velocità o lentezze non nostre anzi tutto questo quasi impedisce il nostro contatto, rallenta. E’ un connotato che impedisce realmente il contatto con noi.
Stai nell’immaginazione di quello che puoi essere, è la valenza dell’invidia e del sapore mai tuo ma visto in altri.
Impedisce quasi la tua voce, il riconoscere chi sei tu, cosa sei tu. Più ti danno giga, più sei fuori, l’entità che prende i milioni di labirinti nella possibilità del tuo mondo espanso.
Sono i giga dell’irriconosciuto che vaga, che cerca lontano, sempre più lontano.
Più hai giga , più non sai dove amare, comunicare, rallenta l’esperienza.
E quando hai fatto la tua esperienza che sei Più libero di navigare , solo lì vedi il luogo ed il percorso che ognuno sta facendo.
Quanti giga abbiamo noi… i giga della coscienza !!??

Nicholas Cocino

 

 

Il non “essere” dei pensieri

Sono uscita per fare diverse commissioni. 
Ovunque tensione, fretta, nei negozi non ascoltano quello che desideri acquistare, ti propongono quello che vogliono loro, non ascoltano, vogliono solo vendere in fretta; prima aspettano la cliente davanti alla porta del negozio e poi ti senti assalita, e ti vogliono servire in fretta, scocciati perché non vuoi acquistare quello che vogliono venderti. 
Ovunque quest’ansia di vendere e ovunque questo non ascoltarti, ovunque, e continuano a ripeterti quello che vogliono darti e che poi ripetono pari pari alla cliente arrivata subito dopo di te, cliente che ha fretta e vuole essere servita subito e ti sta addosso con ansia perché ha fretta, ha lasciato la macchina in doppia fila, fretta la cliente, fretta la negoziante, che mentre cerca di servire te parla con l’altra e ripropone le stesse cose che ha appena proposto a te e che hai rifiutato, una cantilena, vendere, vendere, vendere. 
Non ti senti una cliente, ma un bancomat camminante. 
Ovunque. Tutto è cambiato, cambia, ma in peggio, ogni giorno. 
Sono tornata a casa mia, mi sono fatta un caffè e mi sono accorta di colpo che giravo lo zucchero senza accorgermi che lo stavo girando e come lo stavo girando. 
Di colpo mi sono accorta che lo giravo in maniera nervosa, rumorosa, stavo scaricando in quella povera tazzina la tensione accumulata, assorbita e ho bevuto il caffè che desideravo, senza gustarmelo e che desideravo tanto, prima di farmelo. 
E lì, in questo gesto, mi sono vista come assorbo il fuori. Come sono una spugna incosciente, come in quelle poche ore passate fuori fra negozi e uffici, ho assorbito da incosciente tutto quello che ho visto e sentito. 
Ora sono nella mia casa, nel silenzio della mia casa, silenzio si fa per dire, perché i miei pensieri che avevo prima di uscire ed erano andati a riposo mentre ero fuori di casa, si sono risvegliati tutti ed ora la fanno da padroni loro, dentro di me. 
Li vedo come appaiono, saltellano, si muovono velocemente, e prima che abbia finito di vederne uno, arriva l’altro e poi l’altro ancora. 
E’ come se ognuno cercasse di occupare velocemente lo spazio dell’altro, e sono tutti invasori, perché nessuno porta pace, serenità ma ansia, timore, paura.
 

Gianna

 

 

Posso lasciare le stampelle!

Alzarmi dal letto con le mie gambe, senza l’aiuto delle stampelle e riscoprire lo stare in piedi da sola, sulle mie gambe. 
Sorpresa, sorpresa e andare, lentamente, ma andare, mi sono sorpresa che potessi ricamminare con le mie gambe, sulle mie gambe, uscire, piano piano, sulle mie gambe, funzionano. 
Ora guardo le mie stampelle, le mie compagne, i miei sostegni per infiniti giorni, mi stavo abituando a loro e avevo dimenticato l’abitudine di una vita senza le stampelle.
E scoprire quanto si può fare con le mani libere dall’appoggio sulle stampelle.
Tornare alla vita, alla mia vita, che ora, dopo un colpo simile, vedo nuova. 
Voglio mantenere in me questa gioia della scoperta di avere due gambe senza le stampelle, due mani libere, non voglio dimenticare per ricordarmi che io esisto e devo avere cura di me non solo quando sono costretta, quando sono ammalata, ma come dovere verso di me, perché la mia vita è mia ed io devo averne cura. 
Cura di me, perché solo io lo posso fare, non dimenticare me.

C. G.

 

 

L’inesorabilità
è nei miei occhi ciechi

Movimento. Cammino. Scoperta. Tutto dentro di me.
Visione più ampia. Anzi, comincia ad esserci, perché prima era solo un muro. Un muro pesante e calcificato. Un muro di non conosciuto. Di presunzione nel credere e pensare che fosse così e basta. Di convinzione che non potesse essere diversamente. Mi ricordo che sentivo quella inesorabilità che come parola ti fa vedere tutto chiuso, che non si può uscire, che ti fa sentire incastrata, che subisci e fai subire.
Proprio così: che fai subire. Vittima e carnefice allo stesso tempo. Ma tu vedi solo una faccia della medaglia: ovviamente quella della vittima. E beh, per forza: devi soffrire, no? Devi soffrire tanto per accaparrarti il ruolo di vittima. Poi quello che fai vivere all’altro, quello no. Non è affar tuo!
Poi, man mano che cammini, piano piano quel muro che sovrastava perde di consistenza. Perde di significato. Quel significato che prima era preponderante, assoluto, devastante, incommensurabile, accecante.
Non vedi al di là del tuo naso. Proprio solo un pezzettino. E quel pezzettino è la tua realtà, su cui basi tutto. Un pezzettino credi che sia la tua realtà. Un pezzettino. Un metro di un chilometro, un mattone di una casa, una pagliuzza di una trave, un atomo di una molecola. Esorbitante rispetto al reale.
Esperienza intima di commozione.
Io mi ero allontanata, io mi sto riavvicinando.
 

Stefania Pomi

 

 

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