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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica
Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis
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Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di
Torino n° 5671 del 13/02/2003 |
N° 1 anno 16° -
Gennaio
2017
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PAGINA 2
"L'anima
è la memoria che lasciamo"
Ambrogio Bazzero
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Se prendo
coscienza
la memoria non ripete
Quell’impedimento che sento dentro. L’altra notte ho sognato un furgone che bloccava la strada e mi impediva di proseguire con la mia auto. L’ho addirittura sognato per quanto lo sento presente, l’impedimento che mi crea la situazione che sto vivendo, che ho molto forte nella memoria perché si ripete e si è ripetuto nel corso della mia vita. Un impedimento creato dalle circostanze ma che ora, con l’aiuto grande di Carla, sto finalmente guardando con occhi nuovi e mi sembra un miracolo ciò che mi sta accadendo, perché sto iniziando piano piano a prendere coscienza di come la memoria mi stava riproponendo la stessa vecchia sofferenza, se non ci fosse ora la comprensione di ciò che vivo.
È una cosa enorme per me perché la spiegazione di tutto è nella mia memoria e prendere pienamente coscienza di ciò per me non è facile. È un processo lento, per la prima volta mi soffermo in modo nuovo sulla ripetizione dei miei impedimenti e sulla loro origine.
Stavo vivendo un travaglio pesante, senza capire, con una gran confusione dentro di me ma ieri, dopo averne parlato con Carla, ho sentito che la tensione dentro di me si allentava, adagio adagio, in una serenità che non avevo più provato. Tornando a casa, mentre guidavo, mi accorgevo di sentire un benessere che si irradiava a tutti i pori della mia pelle, attimo dopo attimo che, a pensarci, ancora mi commuovo.
Questo è l’effetto che fa la verità dentro di noi, ho pensato, parole giuste spiegate con amore che entrano e ti fanno sentire capita. Parole dette da chi conosce profondamente come siamo costruiti, che portano chiarezza dove prima c’era buio e ti fanno andar via tanto dolore inutile.
Non sento ancora sufficiente lucidità per dipanare questa matassa nella mia memoria, ma Carla mi ha detto di non avere fretta di capire tutto subito, di vivere serena ora che la verità è semplice e ci arriva quando siamo pronti a riceverla.
Mettere ordine dentro di me, nella mia memoria, un lavoro enorme se penso che tutto il mio vissuto era chiuso lì, in un posto così piccolo come la mia testolina, tutto racchiuso lì, la posso toccare, toccarmi la fronte quando “penso”, gli occhi che hanno “visto”, le orecchie che hanno “ascoltato”, la bocca che ha “detto”. Ma non posso toccare la memoria, ciò che ho vissuto, ciò che ho ripetuto senza avere mai compreso.
Però nella mia memoria c’è anche un giorno fortunato in cui ho incontrato la mia strada, l’inizio di un percorso che ha come meta “me stessa”.
Ne ho fatta di strada da quel giorno. Ogni tanto cado e mi rialzo e mai come oggi è importante rialzarsi per rimanere sulla strada.
Carla ci aiuta a superare le cadute trasformandole in opportunità per crescere, per comprendere l’irrisolto che si ripete.
In questo cammino noi abbiamo lei.
Ed è meraviglioso, quando comprendiamo qualcosa, vedere lei felice per la nostra felicità.
Chiara
Vedere i pensieri
che ci nascondiamo!
Ripensavo alle parole che ho sentito due giorni fa, alle persone che le hanno pronunciate, ripensavo ai loro visi, alla situazione, a quel momento; erano visi gioiosi che mi volevano trasmettere le loro gioie attraverso le parole, il gesticolare delle loro mani, il toccare il mio braccio con affetto; ripensavo a quelle parole e con tutto quello che ho visto e sentito mi abbia scatenato invidia, non una ma due tre, poi quattro, poi cinque, veloce successione di stati d’animo, somma di stati d’animo, tutto dentro di me.
Stati d’animo che ho capito essere d’invidia molto più tardi, perché prima c’è stato il sentirmi meno, il sentirmi il cuore che si stringeva, il mio sentirmi ancora più sola, il mio sentirmi senza famiglia, il mio sentirmi addosso come il peso di un cappotto nero di cent’anni, e forse più, di quegli stati d’animo.
A rivedere quei visi, a risentire quelle frasi gioiose a distanza di due giorni, gioia cui chiaramente non ho partecipato affatto, se non con cortesia formale, mi sono accorta che avevano scatenato dentro di me una bufera di invidie che ha ovattato il cervello e reso poi pesante il mio camminare; mi sono resa conto come le parole entrano dentro e trovano tanti tunnel aperti dentro di me.
Tutto invisibile, parole invisibili, stati d’animo invisibili, invidie invisibili, non palpabili, aria, eppure hanno una forza devastante perché io con le mie invidie lascio le porte aperte di me alla loro invasione. E ho visto quanto la mia invidia mi rende debole, facile alla trasformazione di parole gioiose in invasione barbarica dentro di me, invasione di barbari che fanno bottino di me, della mia vita.
Altro che Unni, che abbiamo studiato a scuola, altro che Attila, chiamato il flagello di Dio, l’invidia è peggio, perché è e diventa il mio stesso flagello di me.
Parole invisibili, stati d’animo invisibili, invidia invisibile, il mio star male invisibile, tutto invisibile ma quanto dolore, quanta sofferenza!
Però mi è sempre più chiaro, ripensando a tutto questo, che io dovevo essere più attenta a tutto questo meccanismo, perché io voglio uscire da questo e non restare così.
Voglio diventare padrona della mia vita e non mortificata, offesa dalla mia stessa invidia, che ho dentro e che rifabbrico ogni volta.
Gianna
L'atteggiamento
dell'amore
Intravedo uno spiraglio di diversità in tante cose, nel supporto e nell’atteggiamento che mai ho tenuto in me in quello che faccio, spinto da altri e non mia reale convinzione, come un amore mai iniziato e mai visto.
Non credo in me e non so di me. Sono arrivato fin qua inconsapevole, non perché io ci credessi veramente, realmente, come sé mio non fosse.
Mi è difficile descriverlo non mio reale costruito come se non ci avessi mai creduto. Una professione arrivata così come un lampo di luce, un bagliore che ancora non avverto.
Un’apertura, un nuovo mondo dove io ancora recito inconsapevole.
L’atteggiamento, la parola mia vera, reale, partita da una costruzione avvenuta millimetro per millimetro con dei passi indietro e dei passi avanti.
Un atteggiamento, un atteggiamento che è come un incontro amoroso. In realtà è come sé io non avessi mai incontrato l’amore anche se l’ho incontrato.
Come con le donne che ho incontrato, io non l’ho mai sostenuto perché non sapevo sostenere me, essere amore, sostegno e non lotta. È difficile concepire questo amore, questa riconoscenza di me.
Non mi riconosco l’atteggiamento dell’amore, di quello che ama, creatura che riconosce prima se è poi gli altri.
Ho un barlume di apertura verso l’amore che non conoscevo, che non ho mai vissuto, che non ho mai compreso.
Riconoscersi per riconoscere, stare su un percorso di volontà che va compreso.
Io non sapevo che esisteva l’amore o almeno era confuso con tutt’altro.
Io non sapevo che si potesse essere amore in questa breve vita che ci viene data.
Io non sapevo che potevo essere una cellula che serve all’evoluzione di me e del mondo, una cellula che ha un suo posto, una sua parola, una sua condizione di amore.
Io non sapevo che si poteva amare, solo lì si può essere sereni, solo lì si può essere quieti di una voce che non chiede, solo lì si può essere in vita.
Nicola
Una bella presa di
coscienza
E così ieri è venuto fuori che io invidio la mia amica
perché ha una figlia. È stato un colpo, vero, verità.
Verità che mi ha fatto piangere di emozione.
Lei, la mia amica, ha una figlia, io no e solo in quel momento ho visto
che sarebbe stato il mio sogno più grande. E da lì ho visto quante donne
ho invidiato, senza rendermene conto, perché hanno una figlia, invidiate
profondamente dal momento che sono rimaste incinte e poi ancora di più
quando è nata la figlia, non un figlio, ma la figlia.
Mi sono passati davanti velocemente i visi, i nomi di tutte le donne, le
amiche che ho invidiato, ma da anni e per anni ancora, perché hanno una
figlia. E ho visto che invece non ho invidiato le donne, le amiche quando
hanno avuto i figli maschi. Ho visto che le invidiavo mentre erano
incinte, ma non più quando hanno partorito il figlio maschio.
Chissà perché mi è successo tutto questo, su questa differenza di sesso
dei loro figli. Io ho sempre desiderato una figlia, una bambina, ma avevo
paura, terrore, paura del parto, paura di non farcela ad allevarla, paura
della responsabilità, paura di non essere una buona mamma, paura di
essere sempre sola ad allevarla, paura perché non avevo nessuno che mi
potesse aiutare, paura di essere incapace.
Ho rivisto anche tutte le pressioni ricevute per anni perché dimostrassi
di essere capace di fare un figlio, mi opprimevano con sottili discorsi
mia madre, mia suocera, mio suocero perché avessi un figlio,
possibilmente maschio, per trasmettere il cognome della famiglia, e di me,
delle mie paure nessuno voleva sentirne parlare; per me era un tormento
tutta questa pressione, e avevo ancora più paura, fino al rifiuto di
diventare madre.
È andata così, ma oggi l’importante per me è aver visto questa cosa
che avevo dentro senza esserne cosciente.
Gianna
Quanto è forte
l'abitudine
Quanto è forte l’abitudine. Ma quanto è forte l’abitudine. Ti fa stare lì a ripensare e a rifare le stesse cose. Circolo vizioso. Non ne esci da sola. Metti dentro sempre le stesse cose. Le stesse cose. Neanche te ne accorgi. Non puoi. Per te è così. Soffri ma per te è normale così. Non sai neanche perché lo stai facendo o stai pensando in quel modo.
In quel modo condizionato.
Infatti la realtà è un’altra, ma quella è la tua.
E qui arriva il miracolo.
Con la ricerca interiore hai un’opportunità, che il tuo misero mondo condizionato non ti darà mai: vedere in modo diverso da prima.
Vedere la tua vita in modo diverso da prima. Scardinare quel sistema che pensavi fosse la tua vita, che ti teneva legata e imbavagliata.
Non ti muovevi, non ti esprimevi. Non comunicavi. Non avevi alcuna possibilità di vivere in modo diverso, un modo migliore.
Un modo che ti fa essere meno confusa, meno triste, meno sola, che ti fa essere più propositiva, più aperta, più sveglia, più autonoma, più comprensiva, più amorevole, più umana.
Ecco, l’umanità: quando sei nel condizionamento non c’è alcuno spiraglio di essa. Sei lontano dall’essere umana, perché non vedi niente, non capisci niente, non rispetti, non ci sei neanche tu. E se non vedi te, non vedi neanche gli altri. È impossibile.
Solo andando verso di me posso andare verso l’altro.
Non c’è dubbio. E questo per me è sempre più chiaro.
Stefania
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