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Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis - 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di Torino n° 5671 del 13/02/2003

N° 1  anno 16° - Gennaio 2017

PAGINA 7

   "Ho imparato che quando sono arrabbiato ho il diritto di essere arrabbiato,   
ma non ho il diritto di essere cattivo"    

Octavian Paler

Il mio comando frustrato dentro
Non siamo noi a creare ribellione? 
Vediamo solo la reazione degli altri 

Sono partita dalla mia vecchia rabbia, dai sensi di colpa che ho sempre avuto nei suoi confronti per averla… odiata. Che fatica anche solo a pronunciarla questa parola, c’è una gomma che te la cancella mentre la pensi, una parola brutta solo a pronunciarla, figuriamoci per me che ce l’avevo dentro e per lei che la percepiva, una mamma. Mi stupisco come non mi sia mai domandata perché, non sia mai andata a fondo. Tutta quella rabbia, tutta quella ribellione, stranamente tutto ripetuto da adulta con mio marito: stessa rabbia, stessa ribellione. Ora a distanza di tanti anni la scoperta di un’altra visuale mai considerata su di me, quella roba l’ho troppo subita dalle due persone con cui ho condiviso la mia vita. Quella ribellione già nei confronti di mia madre, che facevo fatica a dominare per paura delle sue reazioni, o forse per paura delle mie, uguale a quella che provavo nei confronti di mio marito. Stessa matrice dentro di me.
È duro, a distanza ormai di anni, rendermi conto che il loro comando accendeva in me ciò che avevo dentro di perfettamente uguale. 
Un barlume di questa cosa l’ho avvertito già tempo fa, ma era troppo duro da vedere per intero: proprio la cosa che ho subito come una tortura, tanto era grande la ribellione al comando di un altro, proprio questa cosa, esattamente questa, ce l’avevo dentro anch’io. 
Ecco la verità, ecco la spiegazione: ho dentro di me il comando, voglio comandare anch’io. E la vita mi ha messo accanto due persone che mi hanno comandato ben bene. Come posso essere stata con loro con il mio comando frustrato dentro? Perché ho fatto così fatica a vedermi per quella che sono? È stato più facile vedermi come vittima di entrambi, avere la comprensione degli altri, potermi sfogare con chi me ne dava l’occasione su ciò che sopportavo. Senza che gli altri sapessero che anch’io ero così, non lo sapevo neanch’io. Ma dopo tanti anni viene finalmente fuori la verità, è come essere scoperti. Ma da chi? A chi devo rendere conto di ciò che sono, che sono stata, di ciò che ho vissuto, delle sofferenze che ho macinato dentro e di quelle inflitte con la mia ribellione! A chi, se non a me, deve importare ciò che sto comprendendo? Che sta mettendo sotto sopra ciò che mi ha sempre fatto comodo credere? Che mi sta mettendo davanti a ciò che ho sempre respinto!
Sono ancora stordita come dopo un’operazione al cuore. È andato tutto bene.
Ora il mio cuore ci penso io a tenerlo da conto, ora voglio farlo vivere di ciò che è di me, di ciò che ho scoperto e che magari non avrei potuto scoprire mai, di ciò che devo ancora scoprire ma anche di ciò che di me mi piace e mi dà gioia, la soddisfazione del credere in me, nelle mie capacità che ora riesco ad esprimere, spinta da qualcosa che ho dentro da sempre… che conviveva con la mia ribellione.

R. M.

 

 

Far pace con me stessa

Sollievo, qualcosa che si attenua dentro di me. È dentro di me che sta avvenendo tutto e questo mi rasserena perché sento in me un movimento buono, ma non nel senso della bontà, buono per me, giusto per me. Non mi sento più ferma, è troppo tempo che macino sofferenza per non riuscire a “vedere chiaro” e capisco tutta la rabbia che ho per qualcosa che “non volevo avere dentro”, qualcosa che mi giudicavo brutto. Non so perché mi ostinassi con quell’accanimento a non volerlo ammettere neanche a me stessa e, anche adesso che l'ho visto, mi viene ancora da piangere se penso a quanto dolore inutile, quanti sensi di colpa per giudicarmi cattiva, cattiva, cattiva e lo scriverei ancora mille volte che mi sentivo cattiva con quello nel cuore. Il ricordo di quel rancore vissuto e sempre negato dai sensi di colpa: che disastro dentro di me! Combattere senza comprendere, aggrappandomi a ciò che sentivo giusto, tutto questo a lungo andare mi ha consumato un sacco di energie e ora non mi sento più di lottare con me stessa, voglio fare pace….. e comincio da qui: ho ammesso con me stessa: ”io ho questo dentro” e mentre lo dicevo ero tranquilla, sentivo di dirmi la verità, né più né meno. Non so quale miracolo sia avvenuto dentro di me, qualcosa ha cominciato a sgonfiarsi, ho pensato alla stessa sensazione che si prova quando trova sfogo un ascesso e si svuota del contenuto malsano e improvvisamente si passa dal dolore all’assenza di dolore. Ho sempre pensato che fosse tanto più forte di me e ora vedo che non era così. Questo mi da coraggio per guardarmi con più amicizia, senza giudicarmi, senza presunzione. Perché ho questo dentro: sono presuntuosa e anche permalosa e qui ce n’è da lavorare.
Questa lotta con me stessa si è servita proprio di queste cose, che fanno parte di me, di quello che sono io, di quello che sono ora. 

 

M. R.

 

 

Un lavoro con me stessa

Parlavo al telefono con una vecchia zia che, a novant’anni suonati, mi ripeteva fatti della sua vita già sentiti mille volte. C’è sempre tanto rancore dentro di lei e ho provato tanta pena perché se ne andrà con tutto quello dentro. E ho ringraziato in cuor mio questo nostro lavoro interiore che ci dà la possibilità di guardarci e alleggerirci. Perché ho pensato al “mio” rancore accumulato negli anni, quel dare sempre la colpa all’altro, dare la colpa della mia sofferenza. Ho pensato a questo lavoro su di me, all’aiuto che ricevo perché da sola non ce la potrei fare, per cui, dopo tanta cocciutaggine e presunzione di pensare che io avevo ragione ad accusare perché io ero la vittima, mi sono fermata e ho provato a mettermi nei panni dell’altro…..e piano piano il rancore si è calmato e sono entrata come in un giardino a primavera.
Ho visto che ho sempre dato la colpa all’altro perché per me era difficile fermarmi, entrare nell’altro per capire cosa provava, avrebbe perso il mio “io” che invece voleva avere ragione, che voleva avere la supremazia sull’altro. Il nemico. 
Ho visto che quando c’è già del rancore vecchio nei confronti di una persona, è più difficile mettersi nei suoi panni per capire il suo punto di vista, c’è quel rancore che te lo impedisce, che ti impedisce già di entrare in te stesso, figuriamoci in un altro! nell’altro poi! quello che ti ha sempre creato problema, quello per cui hai sempre dovuto ingoiare, quello per cui provi ancora rabbia. 
Fermarmi e guardare tutto questo, andare incontro a me, al mio rancore, presente a ciò che provo ora, a ciò che ho dentro ancora da comprendere. 
Un lavoro con me stessa, non con l’altra persona. Un avvicinarmi a me che mi commuove perché mi sto rendendo conto che solo io lo posso fare, che solo io conosco ciò che provo, ciò che nascondo di doloroso. 
Ma un passo oggi, un passo domani, verso di me. 
Pietà per me. E sono lacrime di riavvicinamento queste, sono importanti, sono perle. 
È come fare pace e in fondo la pace non è altro che questo, non avere conflitto dentro, fare la pace con me, farla, costruirla, tutto questo sta lentamente avvenendo dentro. E così guarisce anche il fuori, anche l’altro. 
Dov’è il nemico? Lo cerco ma non c’è, non lo vedo, era dentro di me.

Rosanna

 

 

Le favole di Gianna 
I TULIPANI ROSSI

In un borgo non molto lontano, situato tra campi e colline, nel mese di aprile fioriscono i tulipani rossi in mezzo alle spighe di grano e sotto le viti. 
Nello stesso mese, gli abitanti di quel paese festeggiano la Madonnina del Campo. Quell'anno decisero di fare le cose in grande e così, ai primi di marzo, si misero a lavorare.
Rimbiancarono la chiesetta e intorno al portale sistemarono un roseto. Ripristinarono l'antico pozzo e piantarono tanti fiori nelle aiuole della piazza. Misero anche tre lampioni, comprarono due campane nuove e chiamarono la banda. Prepararono le focacce, le torte e imbottigliarono il vino bianco. 

I tulipani del campo di grano vicino alla chiesa, quando videro tutto quel movimento, dissero al vento di avvertire gli altri tulipani. Finalmente si faceva baldoria.
Ma quell'anno la primavera si annunciava molto fredda. La festa si avvicinava e il roseto non si decideva a fiorire, con grande dispiacere di tutti.

Ormai mancavano pochi giorni e le rose non sbocciavano, mentre, invece, i tulipani coloravano i campi.
I tulipani del campo di grano pensarono che fosse giusto fare qualcosa per quei contadini che non usavano i diserbanti chimici e li facevano ancora vivere.
E attraverso il vento si consultarono con gli altri.
Nelle notti che precedettero la festa, il povero vento lavorò molto. Più volte cambiò direzione per trasportare i messaggi che i tulipani si inviavano da un campo all'altro. 
Finalmente per il vento, la notte prima della festa, i tulipani arrivarono ad una decisione e cominciarono a muoversi.
Presero i loro bulbi, le radici e cammina, cammina si trasferirono nei luoghi prestabiliti.
Quelli dei campi di grano più lontani si sistemarono nell'aiuola del pozzo e nel tratto di terra che circondava la chiesa. 
Quelli delle vigne si piazzarono ai bordi delle strade e quelli dei campi più vicini, si distribuirono a semicerchio, sulla collinetta, di fronte alla chiesa. 
A dire la verità furono aiutati dal vento, perché da soli non ce l'avrebbero mai fatta a scendere dalle colline e attraversare le strade. 
Ma questo è un segreto fra i tulipani e il vento. 
L'indomani, gli abitanti del borgo e dei paesi vicini, andarono alla chiesa e quando videro tutti quei tulipani ben sistemati intorno, si misero a battere le mani per la gioia.
I tulipani erano tanti, ma così tanti, che nessuno è mai riuscito a contarli. 
Allora due uomini salirono sul campanile, tirarono le corde delle campane e le fecero suonare così forte, ma così forte, che le sentirono fin sopra il mare, mentre la banda attaccava un brano musicale.
E gli uomini e le donne e i bambini si misero a ballare. Poi a mangiare, poi a bere e poi a ballare ancora per tre giorni di fila. 

Mentre i tulipani ondeggiavano le loro corolle rosse, accarezzate dal vento.

Gianna

 

 

Non essere

In tutta la mia vita ho sempre rincorso l'approvazione degli altri. Ho passato la mia vita così.
Tanta ignoranza. Tanto sciocca e superficiale.
Ho fatto diventare mio il mondo di un altro perché il mio era sconosciuto.
Parole dette tanto tempo fa sono entrate: hanno trovato terreno fertile e sono attecchite crescendo a dismisura. Ora sono piaghe purulente e dolorose vissute per tanto tempo con abitudine e con la frustrazione di non essere all'altezza delle aspettative degli altri.
Dolore, ansia, umiliazione le ganasce che mi stringevano togliendomi il respiro, chiusa nella morsa della non conoscenza, nell'incoscienza dell'abitudine.
L'abitudine uccide veramente la vita!
Toglie tutta la gioia di vivere. Tutto opaco ed incolore. Tutto pesante. Tutto senza dignità.
Circostanze di vita: il bisogno di un altro ha fatto tornare il dolore e l'umiliazione di sempre ... ma sono contenta perché ora posso dare una identificazione a tutto questo dolore, posso vederlo e, se anche mi fa soffrire, non c'è solo questo, c'è tanto altro ed io ci sono come non sono mai stata.

O. G.

 

 

La parola

La parola è un dono di Dio. Troppo abusata, troppo dato per scontata, troppo sottovalutata. 
Parliamo dando fiato alle trombe dei nostri pensieri, dei nostri bisogni, delle nostre frustrazioni. Mai presenti al nostro dire, solo l’urgenza di esternare. 
La parola è veramente un’arma a doppio taglio: si può dare amore, affetto, amicizia, si può condividere ma può anche dare sofferenza, umiliazione, creare condizionamenti profondi e dolorosi. 
I miei condizionamenti sono nati così da parole dette da altri ma che hanno trovato terreno fertile nell’aridità della mia ignoranza. Incoscientemente. 
Ora ci sono, ho scoperto l’anima ed il cuore e sto imparando ad ascoltarlo, vivendo cercando di dribblare sofferenza inutile.

O. G.

 

 

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