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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica
Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis
- 10147 Torino - Tel e fax 011 3853793
Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di
Torino n° 5671 del 13/02/2003 |
N° 2 - anno 13° - Luglio-Agosto-Settembre 2014
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PAGINA 4
"Guai rimandare. Mai rimandare.
Troppo spesso si dimentica che mentre rimandiamo, la vita passa"
Seneca
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Una vita, per elemosinare amore
Una vita ad elemosinare amore, per chiedere di essere vista e considerata; una vita per voler essere qualcuna che non ero, per attirare l’attenzione, per ricevere attenzioni che nessuno pronunciava, che mi mancavano.
Una vita nel cercare l’affetto, secondo i miei canoni e nelle mie aspettative. Una bimba che domanda e si trasforma per essere ascoltata, una bambina con un forte carattere e la testa dura, molto dura. Ma insicura, come un fiore senza terra, tra le radici selvatiche di un bosco dove non batte il sole.
Bisogno. Si, bisogno. Dopo anni di richieste e grida, e pianti, e attese disattese, anni di rabbia e solitudine e poi altri anni di ribellione e continuare a voler essere diversa, perché come ero non piacevo ai miei, non ero adatta, non ero all’altezza, non mi sentivo la figlia che avrebbero desiderato.
E così il camaleonte continua a cambiare.
Altri anni a giudicare, perché avrei voluto altro, perché non ero capita, perché non ero stata amata, nonostante lo avessi chiesto con tutta la forza che avevo. Anni ad accettare che esisto anche se non sono amata e che non è scontato essere amati per forza.
E questi anni continuano, perché ci sbatto il naso tante volte al giorno. Penso a quanto ho gridato la mia sofferenza. Eccome l’ho gridata.
Io non ho amato. Ho solo preteso di essere amata. Chiesto, implorato, domandato, cercato.
Quanta pazienza e sofferenza hanno vissuto i miei genitori ad ascoltare una figlia triste, sola e insoddisfatta.
Quanta sofferenza deve essere stata vedere una figlia triste, immersa nella tristezza
Quanto dolore deve essere stato aver fatto il possibile, aver dato tutto, ma io non lo sapevo sentire, accogliere.
Il loro modo di amarmi non riempiva la mia sete di amore.
Loro hanno espresso e comunicato quello che provavano, la loro forma di amare per come sono loro.
Diversi da me.
E io non ho saputo, potuto, comprendere, ascoltare e vivere il loro modo di amarmi. Ho continuato a chiedere, supplicare, sentenziare e giudicare.
Ora vi chiedo scusa.
Vi voglio bene. Basta.
Io sono io, mamma è mamma, papà è papà.
Non siete quello che vorrei. Non siete il frutto di un mio capriccio o bisogno. Siete voi. Siete diversi dalla mia
idea, siete diversi da me. Non posso che ascoltarvi e imparare ad amare come siete. Rispettando le vostre idee e il vostro modo di essere e amare.
Ci sono voluti 30 anni e mezzo per iniziare ad intravedere questa cosa.
Kat
La nostra dimensione
Nella vita è l'esperienza del fare e dell'azione che ci pone in sintonia con tutto, perché tutti noi vogliamo “essere”.
In maniera soggettiva ognuno di noi vuole partecipare alla propria dimensione, scoprirla, trovarla e amarla e sentire che è unica.
Quando entriamo nella nostra unicità ci sentiamo a nostro agio ci sentiamo a casa, tutto questo rallenta l'invidia perché non ha più spazio dentro di noi, sentiamo che anche gli altri hanno il diritto di esprimersi, certamente nella loro dimensione che è assolutamente unica.
Ci può essere comprensione solo se l'animo è sereno.
Enzo
Sarebbe tutto così semplice
Uno scorrere senza tempo.
Ci siamo persi in un mondo creato da noi! Follia!
Abbiamo dato valore a cose e oggetti che non ne hanno, e ne siamo diventati schiavi.
Abbiamo perso la pace che c'era in ognuno di noi.
Abbiamo creato bisogni, invidie, dolori, piaceri, condizionamenti, perdendo di vista la vera essenza di noi stessi.
Potremmo creare un mondo diverso.
E che aspettiamo?
Morena
Un essere umano
Dentro di me sento qualcosa di bello e di caldo che mi sale, proprio lì dove una volta mi saliva il pianto. E più sto dentro e più si espande e mi viene da chiudere gli occhi. Perché gli oggetti disturbano, gli oggetti, i pensieri.
Sto camminando, sento il movimento, sento il mio cammino verso di me fatto di tanti pezzi in una sequenza ordinata, da cosa nasce cosa, ogni pezzo lo sento andare nel posto giusto e ogni pezzo prepara il successivo, mi fa sentire la strada giusta, la strada per arrivare a me.
Ogni pezzo è la spiegazione a tante cose che una volta non volevo vedere, che mi creavano strati di incertezza sotto i piedi, come andare avanti in un tempo inutile su un terreno che non porta da nessuna parte.
Ogni pezzo è una chiarezza che arriva se sono pronta a riceverla dentro di me.
Guardare me, la mia attenzione su di me, qui, dove devo costruire. La costruzione che sta avvenendo in me ha bisogno della mia attenzione.
Ora capisco cosa significa guardare me. Vuol dire smetterla di guardare gli altri.
Ma perché ho passato la mia vita a guardare gli altri?
Cosa facevano, quanto facevano, come erano bravi! Come erano sicuri di sé!
E guardare gli altri ti fa diventare invidioso, ti fa diventare una persona pigra, paura di fare, ferma, senza movimento. Difficile non guardare gli altri, difficile guardare me, il mio non fare, tutto difficile e ho sempre piantato su un’insalata di invidia, giudizi e sensi di colpa che ora, se guardo tutto questo, non mi stupisco di essere sempre stata così ferma e senza amore, né per me e né per gli altri.
Sono un essere… (mi fermo perché stavo per scrivere UMANO, ma che di umano non ha mai avuto niente).
“Ora” sto cominciando a sentirmi umana e tutto dentro di me mi risponde: è un grazie!
Rosanna
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