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Periodico di Informazione Culturale e di Ricerca Filosofica
Direzione, Redazione, Amministrazione: Via Reano, 1 bis
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Direttore Responsabile: Carla Orfano - Autorizzazione Tribunale di
Torino n° 5671 del 13/02/2003 |
N° 2 anno 17° -
Dicembre
2018
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PAGINA 8
"Se sulla terra prevalesse l’amore, tutte le leggi sarebbero superflue"
Aristotele
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* Le
favole di Gianna *
IL ROVO E LE
SPINE
Anche quell'anno fu riaperta la caccia.
Al sorgere del sole, tutti i cacciatori della zona si ritrovarono all'ingresso del bosco per concordare la spartizione del territorio e la composizione dei gruppi. Quattro di là, quattro di qua, due di laggiù, tre di lassù. La giornata prometteva bene e i cacciatori erano euforici. Per ore e ore camminarono in lungo e in largo, s’inerpicarono in pendii scoscesi, fecero i versi dei fagiani, ma degli uccelli neppure l'ombra e neppure un'ala.
Proprio la sera prima i fagiani avevano deciso di disertare la zona e di andare altrove.
Alla fine della giornata, i cacciatori, amareggiati, delusi e con il carniere vuoto, fecero ritorno a casa.
Mentre camminavano a passo lento, uno dei cacciatori vide un cardellino che cinguettava sopra un rovo di rose canine. In preda alla rabbia, lo acchiappò e lo infilò nella tasca della giacca. La battuta di caccia gli era andata male, ma almeno avrebbe portato un regalo a suo figlio.
Un cardellino vero, di bosco e non di negozio.
Arrivato a casa, il cacciatore fece vedere il cardellino a suo figlio. Il povero uccellino tremava come una foglia e il suo cuore batteva forte forte di paura.
Il bimbo corse a prendere una vecchia scatola di cartone, la forò in più parti e vi mise dentro il piccolo, spaventatissimo, cardellino.
Subito dopo, il bimbo prese dei bastoncini di legno, il martello, i chiodi, la colla e si mise a costruire una gabbia per il suo cardellino. La colorò di verde, così l'uccellino si sarebbe illuso di stare ancora in mezzo al bosco, vi infilò delle asticelle di legno grezzo, così l'uccellino avrebbe saltellato come faceva sui rami degli alberi, vi mise dentro le foglie di sedano, così l'uccellino le avrebbe guardate pensando ai fili dell'erba. Fece tutto questo convinto di fare felice l'uccellino.
Poi prese il cardellino dalla scatola e lo chiuse dentro la gabbia. Al mattino lo svegliava, gli dava i semini e gli diceva: "Canta" e l'uccellino cantava. Cantava con disperazione la sua prigionia nella gabbia verde.
La sera il bambino copriva la gabbia con un panno scuro, così l'uccellino poteva dormire.
La mattina successiva il bambino toglieva il panno, svegliava l'uccellino e gli diceva: "Canta".
E così per molti giorni.
Il cardellino continuò a cantare la sua prigionia e il bambino continuò ad ascoltarlo, pensando che fosse felice.
Ma un giorno, mentre il bimbo sistemava i semini nella gabbia e lo sportellino era rimasto aperto più del solito, il cardellino fuggì via.
Volò come impazzito dentro la casa, andò a sbattere il becco contro un muro, infilò rapidamente l'uscio e si diresse verso il bosco.
A gran velocità, per paura di essere riacciuffato.
Volò, volò, volò con il cuore in gola, ma poi, sfinito, precipitò sul rovo di rose canine. E il povero uccellino rimase impigliato fra i rami e le spine.
Disperato, tentò di uscire da quel groviglio, ma le spine gli penetrarono nelle carni, lacerandogli la pelle e le piume. Il cardellino percepì di non avere via di scampo. Allora si fermò, si guardò intorno e cercò uno spiraglio fra le spine che lo imprigionavano. Ma il rovo era così fitto che rischiava solo di farsi altro male. Capì che doveva stare assolutamente immobile. E pianse.
Piano, piano si fece coraggio e imparò a mangiare i semi delle rose e a bere la rugiada che colava da una spina, senza muovere neppure una piuma. Una volta riuscì anche a mangiare un vermiciattolo che si era avventurato fin lassù.
Il tempo passava e arrivò l'inverno. Il rovo si fece più fitto e più nero, i rami più duri e più secchi, le spine più sottili e pungenti. Il piccolo cardellino si rattrappì su se stesso e attese in silenzio.
Arrivò la primavera. Il cardellino era sopravvissuto al freddo e alla fame. Finalmente c'era il sole che lo scaldava e la mattina c'era molta più rugiada. C'erano più gemme e più semi, ma c'erano anche più foglie, più spine e più rami che lo imprigionavano ancora di più. Era sopravvissuto all'inverno, ma non poteva scappare da quella prigione di spine. Allora l'uccellino decise di chiedere aiuto e si mise ad urlare. Urlò, urlò forte la sua disperazione, la sua sofferenza, la sua solitudine, il suo dolore.
Le spine si erano centuplicate e lui era proprio stanco di essere ancora prigioniero. Ormai era all'estremo delle forze e voleva tornare libero. Voleva volare sopra le rose canine e non voleva morire in mezzo a loro. Urlò, urlò il cardellino. Il suo non era un cinguettio, era un urlo continuo, infinito, straziante.
Alcuni cardellini che volavano lì accanto sentirono il suo grido e capirono subito che quello non era un canto d'amore per la nuova primavera, ma un urlo di dolore che strappava il cuore, che strappava le penne, che strappava l'anima. Volarono tutti insieme verso il rovo e con molta cautela si posarono sui ramoscelli delle rose canine, cercando il cardellino. Quando lo videro, cominciarono a staccare, con i loro beccucci, le spine dai rami, una dopo l'altra. Ogni spina tolta era un alito di libertà in più per l'uccellino.
Lavorarono per molti giorni, ma alla fine riuscirono ad aprirsi un varco tra le rose canine. Con le loro zampette estrassero il cardellino dal rovo e lo deposero delicatamente sul prato. Gli lavarono le piaghe con batuffoli di piume bagnate di rugiada e poi lo fecero riposare. Quando si risvegliò, gli diedero da mangiare i semini di cardo.
L'uccellino recuperò le sue forze e si mise a cantare l'amore per la libertà, per la vita, per la sua vita. Ma non sapeva più volare.
Dopo tutti quei mesi di prigionia, il piccolo cardellino aveva perso il senso dell'orientamento e l'uso delle ali.
Gli altri cardellini non si persero d'animo e, con molta pazienza, gli rinsegnarono a librarsi nell'aria.
In poco tempo il piccolo uccellino riacquistò la capacità di volare.
E volò, volò, volò a lungo, più di tutto sopra il rovo di rose canine che lo aveva imprigionato.
Da allora, ogni volta che vede un cacciatore, corre a nascondersi dietro le foglie di una quercia.
In silenzio, per non farsi scoprire.
Gianna
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